il sorpasso

Un editoriale del vice direttore del Corriere, Federico Fubini, pubblicato Domenica 12 Marzo, sostiene la tesi che l’Italia avrebbe sorpassato la Germania in quanto a crescita del PIL pro-capite. Fubini racconta di una Germania che ristagna negli ultimi anni, e in mezzo a mille cautele il messaggio convogliato sembrerebbe sostanzialmente positivo.

Non è la prima volta che articoli del genere appaiono sulla stampa italiana. Sorpassi e controsorpassi si susseguono da quando l’economia italiana si è lascata alle spalle la lunghissima doppia recessione degli anni 2008 e 2012, per poi tornare a crescere a ritmi certamente insufficienti, se solo si pensa che negli ultimi due anni di moderata crescita, il prodotto lordo non ha mai superato la soglia di crescita dell’1% annuale.

È dunque vero che l’Italia ha superato i partner tedeschi, in questo indicatore? La crescita reale nel 2016 è stata, rispettivamente, dello 0.9% per l'Italia e dell’1.9% per la Germania. Sembrebbe quindi una conclusione contro-intuitiva, e dunque bisognevole di analisi più approfondite. Innanzitutto va ricordato che Fubini cita dati Eurostat: il sorpasso Italiano consisterebbe in una crescita del prodotto pro-capite dello 0,9% nel 2015 e dell’1,1% l’anno scorso, rispetto a una crescita tedesca dello 0,8% e 0,6%, rispettivamente.

Fubini cita giustamente il fatto che la popolazione in Germania ha avuto una dinamica eccezionale, a causa del massiccio flusso di profughi e migranti. Lo stesso non può dirsi per l’Italia, che l’anno scorso - è notizia di pochi giorni fa, come riportato dal Corriere stesso - ha sperimentato una diminuzione della popolazione totale per il secondo anno consecutivo, a causa di un bilancio fra nascite e morti molto negativo, e da un deflusso netto di persone dall’Italia, con ingressi che sono stati sorpassati da deflussi di persone verso altri paesi. La persona attenta dovrebbe perciò iniziare a dubitare del trend recente mostrato dai dati del PIL pro-capite.

È certamente vero che più afflussi aumentano la domanda di beni e servizi, e aumentano l’offerta, e che quindi l’effetto di un aumento eccezionale della popolazione sul PIL va nella direzione attesa. Tuttavia, per esempio, il decalage fra ingressi e registrazione delle transazioni (immaginiamo afflussi che non sono avvenuti all’inizio dell’anno, per esempio) dovrebbe suggerire che la relazione dinamica di breve periodo delle due variabili sia soggetta ad ampi margini d’incertezza ed errori di stima. In più, il livello delle due variabili cambierebbe una tantum, mentre la crescita pro-capite negli anni “normali” tornerebbe a valori più vicini al trend di lungo periodo.

I conti nazionali, su cui sono basate le stime sul reddito pro-capite, usano un concetto di popolazione diverso dai registri amministrativi. Sono certamente basati su di essi, ma poiché quello che preme è il concetto di reddito nazionale, la definizione di popolazione si discosta da quella dei registri amministrativi. Con questa considerazione bene in mente, il grafico sottostante mostra la dinamica della popolazione nazionale usata nei conti nazionali di Italia e Germania. La fonte è il database dei conti nazionali dell’Ocse.

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Popolazione nazionale, Italia e Germania

Si può notare come la curva tedesca dopo un leggero declino fra il 2008 e il 2011, abbia iniziato a crescere grazie a un afflusso sempre più corposo di immigrati. Dal 2013 le statistiche dei conti nazionali contano ben due milioni d’individui in più. In Italia, invece la popolazione è in leggero calo dal 2015.

In più, il problema non è solo legato al denominatore, ma anche su come si misura il numeratore. Fubini nel suo articolo cita non meglio specificati prezzi di mercato, limitandosi a considerare che se il PIL fosse misurato in termini reali, il vantaggio del Bel Paese sulla Germania, in termini di crescita pro-capite sarebbe più elevato, poiché la dinamica dei prezzi è stata più contenuta in Italia rispetto alla Germania.

Innanzitutto, il valore da considerare nel caso di paragoni dei PIL pro-capite è il PIL reale a parità di potere di acquisto, laddove non solo si controlla per la dinamica inflattiva interna, ma anche per la differenza nel livello relativo dei prezzi fra paesi. È una differenza sottile, ma va considerata. La tabella seguente mostra i tassi di crescita del prodotto pro-capite, usando tale definizione, dal 2000 in avanti. Si nota come i tassi di crescita nei prodotti pro-capite reali negli ultimi due anni siano gli stessi citati da Fubini. Coincidenza? Oppure i famosi prezzi di mercato citati sono appunto quelli a parità di potere di acquisto? Una svista? Un prender fischi per fiaschi? L’ultima riga mostra la crescita cumulata dal 2000 al 2016. Chi si occupa di teoria della crescita o di misurazioni della stessa, sa bene che ciò che fa la differenza è sempre il trend, e il trend italiano, per quanto in recente controtendenza, è a dir poco insoddisfacente. Dal 2000 il reddito medio degli italiani è decresciuto, in termini cumulati, del 5.3%, contro un aumento del 18.7% per la Germania.

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Crescita % del PIL pro-capite reale, a parità di potere d’acquisto.

Il messaggio è sempre identico: per misurare la crescita di lungo periodo, usando come indicatore il prodotto pro-capite, non serve fare paragoni di decimali da un anno all’altro, soprattutto se alcuni anni sono segnati da eventi statisticamente eccezionali come un flusso di migranti senza precedenti. Si veda il grafico successivo, che mostra il prodotto pro-capite dal 1992 in avanti. L’Italia ha avuto un livello di prodotto medio simile a quello tedesco fino al 2004. Da lì in avanti è stata una piacchiata. Il prodotto medio italiano è passato dal 98% di quello tedesco al 78.4% nel 2016. La “remuntada” di 0.4 punti percentuali negli ultimi due anni è insignificante. La si paragoni a quella spagnola, per restare in ambiti di metafore calcistiche. Nel 1992 il prodotto medio spagnolo era il 74% di quello tedesco.

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Livelli del PIL pro-capite reale, a parità di potere d’acquisto.

Prima della crisi e della bolla immobiliare che ha colpito l’economia spagnola, il livello era salito all’87% di quello tedesco. Dopo la picchiata durante il periodo di crisi, che ha riportato il reddito pro-capite spagnolo al 72% di quello tedesco, negli ultimi tre anni esso si è riportato al 76.5%. Se il trend fosse confermato, in pochi anni la Spagna raggiungerà l’Italia e la lascerà alle spalle. Contano i trend, non le misure di “breve respiro”. Per sorpassare i tedeschi, o riportarsi al loro livello di reddito medio, serve una crescita costantemente più elevata, dell’ordine del 2/3% annuo, soprattutto dopo una lunga fase di crisi. Solo allora, potremo finalmente gioire.