Il pallottoliere del Lingotto
Istituzioni ed economia
Il rischio è che alla convention renziana del Lingotto si parli di tutto fuorché dell'essenziale, cioè di quale strategia il PD deve mettere in campo per fare in modo che, dopo le prossime elezioni, si realizzi un'alternativa terza rispetto alle sole due che i numeri oggi chiaramente squadernano come possibili. La prima è quella della paralisi istituzionale e dell'impossibilità di qualunque governo. La seconda è quella di una maggioranza euro-sfascista e di un possibile esecutivo (di minoranza o no) a 5 Stelle, con il concorso della Lega, di FdI e magari di pezzi di Forza Italia, che porti a un referendum per l'uscita dell'Italia dall'euro.
Proprio per la sua ambizione maggioritaria e il suo rivendicato ruolo "sistemico", il PD, che sostiene il governo in carica e guiderà tutte le grandi manovre attorno alla legge elettorale, è il partito che ha la responsabilità di dire (e di dirsi) la verità rispetto ai pericoli che il Paese corre e di provare a scongiurarli. La resa alla proporzionalizzazione della legge elettorale (al più con qualche correttivo anti-scissionisti) e l'investimento di tutto il capitale politico residuo sulla scommessa di rimanere "primo partito" e di rintuzzare l'attacco dei 5 Stelle sarebbero due scelte sbagliate, nel momento più sbagliato. Se anche il PD rimanesse primo partito non avrebbe i numeri per fare un governo. Se il primo partito diventasse il M5S avrebbe tutti i titoli per esigere dal Capo dello Stato l'incarico di formarlo.
Se dunque al Lingotto qualcuno si rallegrasse dei sondaggi che danno Renzi agevole vincitore delle primarie e rimuovesse quelli che danno il PD come sicuro perdente nella sfida per il governo nella prossima legislatura, non farebbe un buon servizio al partito e neppure alla leadership renziana, che sconta la sconfitta referendaria e l'usura di tre anni di governo, e non può pensare di rilanciarsi tornando alle origini e alla retorica della "rottamazione". Il pallottoliere del Lingotto deve contare con scrupolo i numeri cattivi, che sono quelli esterni, non baloccarsi con quelli inutilmente buoni, che sono quelli interni, malgrado la scissione e la sfida di Orlando e di Emiliano e i primi scricchiolii negli equilibri dei gruppi parlamentari.
Il fatto che l'elettorato democratico sia decisamente più renziano del PD (come ha dimostrato anche il referendum) conta assai poco, per non dire nulla, nel momento in cui la leadership renziana - a differenza che alle europee del 2014, in un risultato però drogato da un astensionismo elevato - non sembra più in grado di arginare la marea montante del voto populista. L'ambizione maggioritaria non può continuare a nutrire l'illusione dell'autosufficienza.
La possibilità di rimescolare le carte e cambiare gli scenari passa necessariamente da una modifica della legge elettorale in una direzione apertamente maggioritaria, come quella del ritorno al Mattarellum, che il PD ha formalmente approvato nella propria Assemblea Nazionale, ma nessuno nel PD sta minimamente sostenendo, preoccupato che la logica di coalizione possa far saltare gli equilibri interni e sia osteggiata dal grosso dei parlamentari oggi in carica, di cui il maggioritario metterebbe spesso a rischio non solo la rielezione, ma perfino la ricandidatura.
Se la scommessa di Renzi è di riportare al voto compattamente il 40% di italiani che approvarono la riforma costituzionale, tutto può pensare, fuorché di "stiparli" all'interno del PD. Per approvare però il Mattarellum in Parlamento, il PD deve rinserrare i ranghi della maggioranza, proporre un patto alle forze cosiddette "moderate", in perenne fase di scomposizione e di ricomposizione, e non continuare a schifarle come alleati improponibili per la prossima legislatura. Deve inoltre sperare che (e lavorare affinché) su questa base altre forze politiche e sociali (le più diverse: da Pisapia, alla Bonino, che oggi sarà presente al Lingotto) si aggreghino e portino nuovi contributi di voti e di idee alla coalizione comune di "resistenza europeista".
Ritenere improponibile questa operazione, e andare al voto con i due Consultelli sghembi partoriti dalla Corte Costituzionale, con la sola prospettiva remota di fare un governo con FI o con quel che ne rimarrà, sarebbe peggio che sbagliato o incoerente; sarebbe dannatamente stupido.