DiGregorio senatori

Questa campagna referendaria ha ormai assunto la natura di un derby tra democrazia e limitazione della rappresentanza, tra suffragio universale e privazione del diritto di voto. Tutti concetti e valori tirati in ballo troppo spesso a sproposito, soprattutto da chi si ammanta di una certa superiorità morale e si erge ad alfiere della libertà e della volontà popolare.

A questo proposito sarebbe il caso di verificare quanti italiani trarranno giovamento e vedranno aumentare il peso decisionale del loro voto in caso di vittoria del Sì o del No al prossimo referendum costituzionale.

In un sistema a bicameralismo paritario come quello italiano, le due camere - Camera dei deputati e Senato della Repubblica - hanno gli stessi identici poteri, le stesse identiche funzioni e concorrono collettivamente alla formazione delle leggi e a concedere la fiducia al governo. Ne consegue che la decisione della Camera non vale nulla se non è accompagnata da una identica decisione del Senato: non c’è legge se il Senato non vuole, non c’è governo se il Senato non vuole.

Tutto lineare, se il bicameralismo paritario italiano non fosse caratterizzato da un aspetto tutt’altro che secondario, rappresentato dalla diversità della platea elettorale sancita in Costituzione: oggi per la Camera votano tutti i cittadini che abbiano compiuto diciotto anni; per il Senato votano solamente i cittadini che abbiano compiuto i venticinque anni (e possono essere eletti solo i cittadini che abbiano compiuto i quaranta).

Questa differenza di platea elettorale si traduce, in regime di bicameralismo paritario, in un formale dimezzamento del diritto di voto di una parte considerevole di cittadini e in un sostanziale annullamento della volontà espressa con il voto da tutti i cittadini minori di venticinque anni. Il dato che dovrebbe portare a una riflessione profonda è rappresentato dal numero di cittadini che, a fronte di tutti gli obblighi imposti dallo Stato, con il mantenimento del bicameralismo paritario continuerà a essere privato della possibilità di esercitare appieno il proprio diritto di voto.

Se prendiamo i giovani diciottenni, classe 1998, che il prossimo 4 dicembre voteranno per la prima volta al referendum costituzionale (molti dei quali, peraltro, voteranno NO, “per continuare (?) a eleggere i senatori”) e consideriamo l’arco temporale nel quale questi “nuovi cittadini” non potranno votare per il Senato, cioè per i prossimi sette anni, da qui al 2023, includendo anche quelli che in questo lasso di tempo raggiungeranno la maggiore età, abbiamo una platea di più di 8 milioni – OTTO MILIONI – di cittadini italiani che nei soli prossimi sette anni continueranno a essere formalmente privati del loro potere decisionale sulle sorti politiche e legislative, nazionali e sovranazionali, del Paese.

Otto milioni di cittadini che dovranno pagare le tasse ma che non potranno di fatto decidere un bel nulla sulla politica fiscale; otto milioni di cittadini che dovranno rispettare le leggi ma che non potranno decidere un bel nulla sulla politica legislativa; otto milioni di cittadini che dovranno rispettare gli obblighi internazionali ma non potranno decidere un bel nulla su quegli obblighi internazionali, perché senza l’ok del Senato, sul quale non possono mettere becco, non c’è legge, non c’è decisione, non c’è governo.

Qualcuno potrebbe obiettare che, data l’assoluta sovrapponibilità delle due camere, anche le decisioni del Senato potrebbero essere bloccate dalla Camera, ma, se la decisione della Camera sul Senato trova legittimazione nel mandato elettorale attribuito da tutti i cittadini, la decisione del Senato che blocca la Camera resta pur sempre la volontà di pochi che soffoca quella di tutti.

Ma cosa cambia o non cambia in termini di democrazia effettiva e di diritto di voto in caso di vittoria del Sì o del No al referendum costituzionale del 4 dicembre? Con la vittoria del No resta invariato l’ordinamento attuale, con tutti i limiti imposti ai cittadini minori di 25 anni che continueranno a contare più o meno zero nelle decisioni importanti. Le due camere continueranno a essere una l’esatta fotocopia dell’altra e le decisioni dell’una continueranno a valere nulla se non accompagnate dalle stesse identiche decisioni dell’altra: non ci sarà legge se la Camera voterà un testo e il Senato no; non ci sarà governo se la Camera darà la fiducia e il Senato no.

Situazione ancora più assurda se si pensa che in questo modo si continuano a mantenere ai margini delle scelte politiche che contano e che disegnano il futuro del Paese le nuove generazioni, sempre più utilizzate come salvadanai da svuotare per pagare gli elevati - e spesso ingiustificati – conti di chi vorrebbe continuare a tenerle da parte. A ciò potrebbe fare da corollario anche il dato storico delle ultime sei tornate elettorali che ha visto venir fuori dalle urne, per quattro volte, maggioranze diverse tra Camera e Senato, determinando questi ultimi vent’anni di ingovernabilità, di leggi importanti che non hanno mai visto la luce e il succedersi di governi più o meno tecnici.

Con la vittoria del Sì e con la conseguente entrata in vigore della riforma, tutti i cittadini avrebbero finalmente pari dignità e pari peso politico nelle decisioni che riguardano il futuro del Paese, contribuendo tutti all’elezione della Camera dei deputati che da sola farà la stragrande maggioranza delle leggi e che da sola darà la fiducia al governo e approverà la legge di bilancio, lasciando a un Senato riformato il ruolo di camera delle autonomie composta da consiglieri regionali e sindaci, due categorie che già oggi vengono elette direttamente dall’intero corpo elettorale. Ne consegue che anche i nuovi senatori (che non dovranno più aver compiuto 40 anni) e il nuovo Senato saranno rappresentanti di tutti i cittadini, compresi quelli nella fascia d’età 18-25 anni, che non subiranno più una vera e propria discriminazione generazionale.

Altro che “deriva autoritaria” e “democrazia in pericolo”, altro che privazione o limitazione del diritto di voto:, riconoscendo a tutti i cittadini maggiorenni, senza distinzione di fasce d’età, di poter esercitare pienamente il diritto di elettorato attivo e passivo, di votare e di essere eletti, di poter decidere senza alcuna limitazione sul proprio futuro.