wolfgang schauble

Sono passate due settimane dal referendum che dovrebbe portare il Regno Unito ad abbandonare l'Unione europea, ma i governi degli Stati membri non sembrano ancora in grado di parlare con un'unica voce circa la strada da percorrere nei futuri negoziati con l'esecutivo britannico. In particolare, l'esito della consultazione ha spaccato la grande coalizione tedesca tra cristiano-democratici, cristiano-sociali e socialdemocratici, anticipando l'avvio della campagna elettorale per le elezioni federali prevista per il settembre 2017.

A infiammare la discussione è stato innanzitutto il Ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, il quale è intervenuto a tambur battente su stampa e tv per chiarire la sua posizione sui passi che occorre finalmente intraprendere nei prossimi mesi. Mentre la Cancelliera Angela Merkel è stata come al solito molto prudente e, al di là delle frasi di circostanza, non ha lasciato trapelare ancora una linea chiara, il suo braccio destro ha immediatamente cercato di giocare di anticipo sui colleghi-avversari socialdemocratici Sigmar Gabriel e Frank-Walter Steinmeier, fissando condizioni molto stringenti all'idea che l'approfondimento dell'integrazione dell'Eurozona con una modifica dei Trattati sia una risposta adeguata.

Mentre Londra potrà forse essere associata all'Unione attraverso accordi ad hoc, ma senza alcun automatismo di favore nell'accesso al mercato unico, gli altri ventisette Stati membri dovranno agire presto per limitare i danni derivanti dal Brexit, ovvero per dare quelle risposte che i cittadini europei si aspettano e che troppo a lungo sono state rinviate, spianando così la strada a movimenti populisti e anti-europei.

Per far ciò, così Schäuble al quotidiano conservatore Die Welt, non c'è però affatto bisogno di una modifica al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (il cd. Trattato di Lisbona), che anzi rallenterebbe di molto le cose acuendo lo scontento popolare, bensì occorre tornare al metodo intergovernativo, come accaduto già durante i mesi più gravi della crisi dell'euro, quando gli Stati membri dell'UE si accordarono per l'istituzione di meccanismi di stabilità ai quali soltanto successivamente venne data copertura con il diritto primario.

In altre parole, chi vuole e ha interesse a risolvere i problemi che attualmente affliggono l'Unione e l'Eurozona e che non possono essere affrontati dagli Stati individualmente - dall'elevata disoccupazione, alla competitività, dalla crisi bancaria a quella dei rifugiati - troverà la Germania al proprio fianco se e soltanto se non proporrà una revisione delle basi costituzionali che reggono l'Unione. Berlino vuole infatti evitare che il mantra della revisione diventi un modo per ammorbidire le regole del Patto di Stabilità e Crescita o apra la strada a maggiori interventi dell'Unione nelle politiche economiche e infrastrutturali degli Stati membri. Né c'è tempo per un diritto dell'immigrazione e di asilo europeo, per un'assicurazione europea contro la disoccupazione e via dicendo. Detto altrimenti, il ministro delle Finanze, al contrario dei suoi colleghi socialdemocratici, vuole scongiurare che il Brexit diventi un'occasione per minare alle fondamenta le radici ordoliberali del progetto europeo e trasformare l'UE in una Federazione a tutti gli effetti.

Ecco perché Berlino propone una strada politicamente meno accidentata, anche se simbolicamente meno efficace, oltre che potenzialmente disgregante: l'Europa a due velocità. Secondo Schäuble, infatti, è finito il tempo delle decisioni prese all'unanimità. Chi vuole seriamente impegnarsi in un processo di integrazione europea deve fare un passo avanti, chi non vuole resterà indietro. E se la Commissione dovesse essere riluttante di fronte a questa prospettiva, “prenderemo noi in mano la situazione”.

Per il Ministro delle Finanze non è insomma il tempo della retorica e parlare di modifiche ai Trattati è solo wishful thinking. Il male minore resta quello della Kerneuropa, il nocciolo duro di Paesi che si unisce per approfondire l'integrazione, secondo il modello disegnato più di vent'anni fa in un position paper scritto a quattro mani con Karl Lamers. Che davvero sia questa la prospettiva che attende l'Unione sembra confermato dalle recenti dichiarazioni di altri capi di Stato e di governo pronti a sfilarsi qualora si dovessero adottare decisioni suscettibili di erodere i poteri sovrani di alcuni Stati membri

L'ipotesi di una “Europa tedesca”, formata da pochi Stati di comprovata fede rigorista, sembra insomma fare capolino all'orizzonte. I grandi slanci visionari per gli Stati Uniti d'Europa sono destinati a subire l'ennesima cocente frustrazione. Business as usual.