Promuovere la cittadinanza europea, oltre l'abbaglio degli Stati-nazione
Istituzioni ed economia
Io sono europeista perché voglio essere libero. Voglio poter viaggiare, vivere, lavorare e commerciare nel mio Continente. Non voglio pagare dazi su beni e servizi realizzati altrove, non voglio avere troppi vincoli regolatori, troppe barriere o rischi di cambio. Voglio la pace, la possibilità di non sentirmi straniero. Tutto ciò si potrebbe avere anche senza l'Unione Europea? In teoria sì, in pratica no, come hanno dimostrato secoli di divisioni, di confini armati, di guerre.
Tutto ciò che non funziona nell'Unione Europea per come la conosciamo oggi è colpa dei governi nazionali che partecipano ai vertici europei pensando a come tutelare questo o quell'interesse specifico e settoriale, anche quando questo stride con l'interesse generale. L'Europa che impone la dimensione dei cetrioli va superata? Certo, senza ombra di dubbio. Ma non per ritrovarci con 28 Paesi che impongono ognuno il proprio cetriolo.
Ci infastidisce che qualcuno possa beneficiare a scrocco di benefici di welfare finanziati con le nostre tasse? Certo, ma il fastidio non è molto diverso se lo scroccone parla la mia lingua o un'altra. Essere un riformatore liberale nella grande Europa mi rassicura più che esserlo nella piccola Italia.
Ieri una maggioranza di cittadini del Regno Unito ha stabilito in un referendum che quel Paese dovrà lasciare la UE. Capiremo come e quando questo avverrà, la transizione sarà lunga e faticosa, ma a me oggi viene da pensare ad un giovane britannico che ieri ha votato (come moltissimi suoi coetanei) per restare cittadino dell'Unione Europea e tra poco si ritroverà a non esserlo più. E se invece gliela lasciassimo la cittadinanza europea, permettendogli di continuare ad essere come noi tra noi?
Molti staranno sobbalzando sulla sedia: alcuni oggi si sentono duri e severi nei confronti della perfida Albione e del suo "leave"; altri eccepiscono che senza reciprocità non potremo concedere nulla ai britannici. Tutto vero, ma il punto della provocazione è il seguente: l'unità europea riprenderà (se riprenderà) ad essere un'ambizione e un'aspirazione se daremo forma e sostanza all'Europa dei cittadini, alla cittadinanza europea come valore e garanzia di libertà, diritti e sicurezza per ognuno di noi. E quegli inglesi o scozzesi che hanno votato Remain sono e saranno sempre cittadini europei come noi, nonostante altri abbiano deciso diversamente anche per loro (qui, su Strade, alla storia secondo cui la maggioranza elettorale abbia ragione a prescindere non abbiamo mai creduto).
Con il referendum britannico di ieri, si è evidenziato un fallimento di cui eravamo già tutti consapevoli: l'Europa intergovernativa, l'Europa degli Stati nazionali che negoziano sulla base dei propri incentivi elettorali nazionali di breve periodo. Di questa Europa è oggettivamente impossibile innamorarsi e sentirsi parte.
L'Europa per cui ha senso battersi è quella delle libertà fondamentali, dei diritti individuali, della cooperazione e della pace. Forse la Brexit produrrà un effetto domino, in questa fase storica in cui troppi apprendisti stregoni imbastiscono prove pratiche di fascismo applicato. O forse emergerà una nuova coscienza politica: quella di chi è nato quasi inconsapevolmente cittadino europeo ed ora, di fronte alla più grande crisi (prima economica e finanziaria, ora anche politica) che il Continente sperimenta dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, coglie appieno il senso di quel diritto di cittadinanza e si impegna per preservarlo, tutelarlo, espanderlo.