UK EU

Ho letto con grande interesse ed attenzione l’articolo di Marco Faraci, in cui l’autore auspicava la Brexit (femminile) secondo una prospettiva liberale. L’ho letto innanzitutto per gli spunti sempre interessanti di Marco, che anche in questo caso non sono mancati. In secondo luogo, le prospettive dell’autore mi hanno ricordato quelle di un personaggio di cui ho parlato durante la narrazione del mio eBook “E se Brexit?”.

Si tratta di Paul Keetch, ex membro di Westminster dal 1997 al 2010. Keetch, noto per una serie di piccoli scandali più che per la sua attività politica, è probabilmente l’unico membro dei Liberaldemocratici britannici ad essersi schierato a favore della Brexit, quando il suo partito è tra i più euroentusiasti nel Regno Unito e tra i più compatti sul referendum. Il Libdem atipico, in un articolo sull’Independent del 7 Marzo scorso, spiegava le sue ragioni, che per certi versi non sono dissimili da quelle di Faraci.

Keetch dice che è contro l’Unione Europea perché lui è un “liberale, democratico ed internazionalista”. In breve è contro la burocrazia priva di accountability di Bruxelles, contro dazi verso i paesi terzi che ritiene discriminatori e contro il concetto di “Fortezza Europa” che fa accordi con la Turchia per tenere lontani i rifugiati. Tutte ragioni nobili e senza dubbio, liberali. Ma, quando si intraprende un percorso, occorre anche vedere chi sono i compagni di viaggio. E di liberali, con argomentazioni liberali, dalle parti di chi dice Leave ce ne sono pochi.

Certo, ci sono Johnson e Gove, che non sono etichettabili come ultranazionalisti con la bava alla bocca. Ma la loro campagna, nonostante i richiami alla “speranza” contro la “paura” fatti da Boris durante il dibattito sulla BBC di ieri sera, non ha dato un senso chiaro alla domanda: cosa ne sarà del Regno Unito dopo la Brexit? Johnson ha cambiato più volte versione sul tipo di trattato commerciale che i britannici stringeranno con l’Europa continentale. Come se non bastasse, ricorda l’Economist, a Westminster, dove si dovranno approvare i nuovi trattati, la maggioranza dei deputati sono pro-UE, il che potrebbe portare ad una fase di stallo, ulteriormente aggravata qualora Johnson e Gove volessero defenestrare Cameron in anticipo. I mercati hanno già avuto scossoni quando i sondaggi hanno dato il Leave in vantaggio.

Al fianco di Keetch, però, oltre alle forze di Governo c’è un numero consistente di membri dell’UKIP. Che sì, va bene, non saranno stati accettati ufficialmente dalla campagna “Vote Leave”, ma rappresentano una forza che alle ultime europee è stata il primo partito nel Regno Unito. Lo spieghi a chi un’ora e mezza prima della morte di Jo Cox presentava un manifesto con i migranti in cammino nelle campagne dell’Est Europa e la scritta “Breaking point”, che l’Unione Europea discrimina i migranti. Vada a spiegarlo ai lavoratori di Tata Steel e del resto del settore metallurgico britannico in ginocchio, che i dazi sull’acciaio cinese sono ingiusti.

Una prospettiva liberale sulla Brexit c’è, ed è razionale, ma si scontra con la realtà in cui la stragrande maggioranza dei Leavers hanno un’idea ben differente dal futuro del Regno Unito. Un futuro in cui le merci si muovono liberamente e le persone vengono fermate alla dogana. In cui la Fortezza Britannica si aggiunge con sbarre più alte alla Fortezza Europa. Un presente in cui la vera causa del referendum non è Johnson, Gove, la Thatcher o James Goldsmith ma Nigel Farage.

Con la Brexit probabilmente il Regno Unito manterrà il legame con l’UE, con un modello svizzero-norvegese, come ricordato da Faraci e più volte proposto da Johnson e Gove. Tuttavia quei modelli significano partecipare al mercato unico senza poterne decidere le leggi e dovendone pagare comunque le spese.

Se il Regno Unito dovesse votare per rimanere, la struttura dell’Unione Europea cambierebbe in ogni caso, con una rinegoziazione che altri vorranno imitare e che spingerà invece gli euroentusiasti a cercare una maggiore integrazione. Il Regno Unito deve avere il coraggio di fare la rivoluzione di cui parla Marco, ma dall’interno, cambiando l’UE e introducendovi i principi “indigeni” di accountability, di una maggiore libertà economica, tagliando la burocrazia e l’assistenzialismo ed applicando quella sussidiarietà di cui tanto si parla sulle carte ma che fatica ad attecchire.

Londra, se dovesse rimanere, non deve stare ai margini dell’Europa, ma diventare forza trainante di una riforma cui tutti aspirano.