Non protesta, cambiamento. Fenomenologia ruffiana del voto grillino
Istituzioni ed economia
Nel riconoscere la vittoria del M5S Renzi ha detto che a premiarli è stato un voto "non di protesta, ma di cambiamento", ripetendo le stesse parole di Beppe Grillo. Può sembrare un riconoscimento sincero della sconfitta, rischia di essere un'equivoco tributo alle ragioni dell'irresistibile popolarità del voto grillino.
Il bisogno di cambiamento evocato dal premier è concettualmente così indeterminato da risultare perfettamente adattabile a qualunque declinazione, anche trasformistica, del "nuovo". In politica (e non solo in politica) novità e innovazione non sono affatto sinonimi. L'innovazione è la ricerca di soluzioni di governo più eque e efficienti. È una pratica sperimentale, un'etica dei risultati. La novità, al contrario, non è una misura di originalità, né di adeguatezza.
Le "facce nuove" sono un predicato necessario di qualunque conservazione, sono - da sempre - la maschera di scena del "vecchio" sul palcoscenico della politica, come spiega il nipote Tancredi al Principe di Salina nel Gattopardo. Questo bisogno di novità è nell'arrocco dei potenti, ma anche nei riflessi dell'elettorato comune, che dal "nuovo" pretende la stessa garanzia che il "vecchio" non sembra più in grado di prestare. Bisogna che tutto cambi, perché il mondo non cambi.
Il voto grillino è, da questo punto di vista, un voto nuovista, ma conservatore. Di più, è un voto di denuncia del carattere cospiratorio di qualunque pretesa innovazione e dell'inconfessato conflitto di interesse di tutti i sedicenti innovatori. Per il M5S ha votato a Roma e a Torino innanzitutto chi non vuole rassegnarsi al fatto che il mondo è cambiato, non chi lo vuole cambiare. Chi vive con scandalo che si possano o debbano toccare - anzi, che siano di fatto già saltate - tutte le antiche "sicurezze" e che premia chiunque prometta di restituirgliele, purché non apparentato a quanti gliel'hanno tolte.
Salvini, che è pure più largo nelle premesse e tonante nelle accuse contro il marcio del sistema, è elettoralmente plafonato dall'appartenenza a una generazione politica che con questi "sacrifici" ha dovuto fare i conti. Il M5S è invece credibile anche quanto promette la moltiplicazione dei pani e dei pesci e di finanziare il reddito di cittadinanza per tutti con il taglio delle auto blu e dei costi della politica. L'euro, il Fiscal Compact, il Jobs Act, la Riforma Fornero, le privatizzazioni... Tanti capi di imputazione contro la vecchia politica, tanti lamenti per la perdita delle vecchie certezze. Questo è il cuore del successo grillino, questa è la gabbia in cui l'Italia è politicamente intrappolata.
La democrazia misura allo stesso modo le responsabilità e gli azzardi. Nei suoi numeri emerge la dimensione, non la qualità dei fenomeni. Nobilitare il voto grillino, per riappropriarsi dell'energia nuovista, è un'inutile ruffianeria. Né Renzi, né altri, possono contendere il consenso del M5S su questo terreno. La scommessa per lui (non per altri, che oggi semplicemente non esistono) è di provare a persuadere gli elettori italiani della forza e della verità di un'altra prospettiva. Che è oggi difficile, ma decisamente più realistica di provare a addomesticare il genio cattivo uscito dalla lampada della crisi italiana.