Il paese del macigno. Intervista a Carlo Cottarelli
Istituzioni ed economia
L’economia italiana paga i decenni d’indebitamento dello Stato italiano, con una politica fiscale che ha speso più di quanto tassava, drogando la crescita con una spesa pubblica eccessiva, e con investimenti pubblici che non hanno lasciato effetti. È stato calcolato che la sola spesa per interessi sul debito italiano, dal 1993 a oggi, ci sia costata la bellezza di circa 1650 miliardi di euro, pari al 6% di quel Prodotto Interno Lordo che anche quest’anno rischia di non crescere quasi per nulla o molto poco per cambiare rotta.
Intanto i paesi che hanno avuto il coraggio di fare dure e serie riforme hanno ricominciato a risalire la china. Utile, quindi, alzare gli occhi ed osservare le dinamiche economiche degli ultimissimi anni: quando l'Europa frena noi siamo in caduta, quindi un problema Italia c'è. Sono passati quasi cinque anni da quando il governo Berlusconi, il 5 agosto del 2011, ricevette la lettera della Banca Centrale Europea che, nella sostanza, ingiungeva di mettere ordine nei conti italiani.
Da quella lettera del 2011, in cui qualcuno è arrivato a vedere un complotto contro la democrazia italiana, sembra passato un secolo: non solo per l'alternarsi dei governi, precipitoso come in nessun altro Paese europeo, ma per una serie ininterrotta di richiami da Bruxelles e di promesse italiane con risultati a tutt’oggi modesti. Fa un certo effetto rileggere la lettera del 2011 e confrontarla con i problemi tutt’ora aperti.
Ragionare di questo con Carlo Cottarelli è un’occasione preziosa per guardarci allo specchio. Dal 1988 Cottarelli è a Washington DC presso il Fondo monetario internazionale. Nel 2008 è direttore del dipartimento affari fiscali. Nel 2013 viene chiamato in Italia da Enrico Letta per rivedere - leggi: tagliare - la spesa pubblica: E’ il momento della nomina a commissario per la Spending Review. L’incarico previsto è di tre anni ma ne passa uno e Cottarelli torna al Fmi come direttore esecutivo per l’Italia. Nel suo ultimo libro “Il macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene” spiega come intervenire.
Il penultimo dei super-commissari - potrebbe quasi suonare come il titolo di un film western - come vede il bicchiere italiano? Mezzo pieno o mezzo vuoto?
Piuttosto che parlare di bicchieri preferisco usare l’immagine di una nave che è in corso di riparazione, anche se sta ancora navigando. Per ora la nave Italia sta navigando in acque abbastanza tranquille (i tassi di interesse sul debito pubblico sono molto bassi e, seppur con qualche sussulto ogni tanto, i mercati finanziari internazionali sono abbastanza tranquilli). E si stanno facendo riforme per riparare i danni subiti nel corso della precedente tempesta (la crisi dell’area dell’euro del 2011-12) e rafforzare la struttura della nave in caso di nuove tempeste. Per far questo occorre approfittare della relativa calma dei mercati finanziari, perché non durerà per sempre.
Nel corso della Sua esperienza di "revisore" della spesa pubblica nazionale, chi l’ha aiutata di più? E chi invece ha maggiormente ostacolato il suo lavoro?
Tutte le riforme per contenere la spesa pubblica fanno male a qualcuno, anche quelle che sono pure riforme di efficientamento, per cui è chiaro che l’opposizione è venuta da più parti. Hanno aiutato quelli che, come me, pensano che il livello di tassazione in Italia sia troppo alto e che si possa ridurre stabilmente solo riducendo la spesa rispetto al Pil, il che dovrebbe essere ora più facile visto che il Pil ha ricominciato a crescere.
L’iniziale vincolo di non impiegare le risorse della Spending Review per finanziare nuova spesa pubblica fu poi cancellato con bonus e nuove spese: così però non se ne esce. Il Leviatano pubblico è tutt’altro che intenzionato a dimagrire, e a perdere potere. Sono troppo pessimista?
Direi di sì. Io vedo il bonus di 80 euro come una riduzione della tassazione sul lavoro, non come un aumento di spesa. Il fatto che l’ISTAT lo classifichi come spesa è dovuto a definizioni tecniche, ma il fatto sta che chi lavora (ed entra nella fascia di reddito coperta dal bonus) si vede ridotto il carico fiscale. Se poi guardiamo al medio termine, vediamo che tra il 2009 e il 2014 (l’ultimo anno per cui ci sono stime definitive dall’ISTAT) la spesa primaria delle pubbliche amministrazioni è aumentata solo dell’1,4 per cento (non all’anno, ma su cinque anni), uno degli aumenti più bassi in Europa. Abbiamo dovuto farlo perché, a causa del rallentamento del Pil, anche le entrate dello Stato non aumentavano. Ma è stato cumunque un risultato importante. Certo, molti tagli sono stati “lineari”, ed è per questo che ora occorre intervenire con riforme nella struttura della spesa. Ma i tagli ci sono stati.
La bassa produttività della Publica Amministrazione si lega a organici sovradimensionati e al ruolo d’ammortizzatore sociale improprio che le strutture pubbliche da sempre esercitano in Italia. Nella legge delega sulla riforma della PA quanto si recepiscono le sue analisi e i suoi suggerimenti?
Ci sono molti aree di sovrapposizione tra i miei suggerimenti e la legge delega. Ma occorrerà vedere in concreto i testi legislativi finali e poi la fase di effettiva implementazione. La legge delega è stata presentata in Parlamento quasi due anni fa, è stata approvata quasi un anno fa, molti decreti legislativi sono stati fatti circolare ma ancora nessuno di questi è stato finalizzato. E poi ci sarà la fase di implementazione. Insomma, anche assumendo che alla fine il contenuto della riforma sia adeguato, mi sembra che comunque occorra accelerarne il completamento e puntare anche ad avere dei chiari risparmi di spesa, oltre che una semplificazione dei processi della pubblica amministrazione.
Parliamo di pensioni, un capitolo di spesa che tocca i 270 miliardi. È una cifra semplicemente troppo grossa per poterla ignorare ma è ancora troppo difficile trovare il modo di spiegare all’opinione i veri nodi del problema. Da cosa dipende?
Il problema è che le molte riforme che sono state approvate finora hanno sempre mirato a contenere le pensioni di chi ancora stava lavorando . La nostra spesa pensionistica resta una delle più alte al mondo rispetto al Pil, il che riduce lo spazio per altre forme di spesa volte alla crescita futura (come la spesa per la pubblica istruzione) e per una riduzione della tassazione sul lavoro. Se guardiamo in avanti, la spesa pensionistica italiana dovrebbe ridursi nel tempo rispetto al Pil, per effetto delle molte riforme approvate negli anni passati, l’ultima la "riforma Fornero". Ma sarà una riduzione lenta. Inoltre, i risparmi si avranno solo perché i nuovi pensionati (gli attuali lavoratori) andranno in pensione a condizioni meno favorevoli di quelle di chi è già in pensione e che riceve pensioni più alte di quelle che corrisponderebbero ai contributi pagati. Molte di queste pensioni sono basse e non si possono certo ridurre, ma al di sopra di una certa soglia, come avevo proposto nella mia revisione della spesa, si poteva intervenire, utilizzando, per esempio, i relativi risparmi per ridurre i contributi previdenziali per i nuovi assunti. Dal punto di vista intergenerazionale sarebbe stata una scelta più equa.
La necessità di riqualificare la spesa in Italia potrà essere davvero assolta solo da un intervento della troika, libera dalla necessità di agire “cacciando voti” con elettori disponibili a scambiarli con aiuti e favori?
Spero proprio di no! Nonostante il Fondo Monetario Internazionale svolga un ruolo essenziale per sostenere paesi in crisi, è certo meglio non arrivare al punto di dover chiedere il sostegno del Fondo. Dobbiamo agire prima di cadere in una nuova crisi.
Il macigno rappresentato dal debito pubblico accumulato condiziona tutto il paese e la sua crescita ma nonostante i tassi di interesse sul debito siano oggi bassi - sarebbe il momento migliore per intervenire - in pochi sembrano intenzionati ad agire con determinazione e lungimiranza.
E’ abbastanza naturale dimenticarsi del debito quando i tassi di interesse sono bassi. Si tende a pensare che resteranno bassi per sempre e quindi a procrastinare l’aggiustamento. Spero che stavolta faremo meglio che in passato, magari per essere in linea con le regole europee. Non ci vuole molto. Quelle che faccio vedere nel mio libro è che per pareggiare il bilancio dovremmo tenere costante la spesa pubblica primaria (al netto dell’inflazione) per 3-4 anni. Non si tratta quindi di una cura draconiana ma semplicemnte di evitare di spendere le maggiori entrate reali che la crescita (anche se a tassi moderati) porterà nei prossimi anni.
Livelli di pressione fiscale e spesa pubblica sempre crescenti, debito pubblico in aumento (134% del Pil, come l’orologio dell’Istituto Bruno Leoni ci ricorda quotidianamente) ma sentiamo parlare costantemente di austerità e politiche neo-liberiste. Qualcosa non torna…
C’è troppa polemica e poca chiarezza su questi temi che vengono sfruttati per fine politici. E’ molto di moda dire che tutti i nostri problemi sono dovuti alla austerità. Io ho scritto nel 2012 che troppa austerità fa male ma un po’ di austerità è necessaria per un paese che ha un debito publico tra i più alti al mondo.