La proprietà privata nei documenti del Concilio Vaticano II
Istituzioni ed economia
Sua Santità Giovanni XXIII, oggi agli onori degli altari, tre mesi dopo la sua elezione al soglio di Pietro, annunziò l’intenzione di celebrare un concilio ecumenico, della cui conclusione è da poco trascorso il cinquantesimo anniversario. Tra le motivazioni che indussero il Santo Padre ad indire il Concilio vi era la constatazione della crisi causata nella società moderna dal decadimento dei valori spirituali e morali. Le trasformazioni sociali e politiche maturate e le nuove e gravi problematiche emerse esigevano una risposta da parte dell’istituzione ecclesiastica e, segnatamente, dell’intera cristianità.
Il XXI concilio ecumenico della Chiesa ebbe inizio l’11 ottobre 1962 e si concluse nel 1965; ad esso parteciparono oltre 2.400 padri conciliari. A conclusione dello stesso vennero prodotti quattro Costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Si è molto discusso se gli esiti del Concilio abbiano favorito una modernizzazione dell'istituzione ecclesiastica e del suo rapporto con la società contemporanea nel segno del compromesso, perfino della resa alle ideologie novecentesche, o se, al contrario, abbiano semplicemente attualizzato, sul piano del linguaggio e dell'impegno pastorale, il modo di "essere nel mondo" di una Chiesa tenacemente fedele ai valori della propria tradizione e poco disponibile ad adeguarli allo spirito del tempo. Se si guarda ai documenti ufficiali del Concilio sembra assai più ragionevole questa seconda lettura, non solo sulle cosiddette libertà civili, ma anche sui temi che attengono più direttamente alla dottrina economico-sociale della Chiesa, muovendo dal valore riconosciuto alla proprietà privata.
La costituzione Gaudium et Spes è uno degli ultimi documenti conciliari promulgati (7 dicembre 1965), e con essa si intendeva definire quale atteggiamento la Chiesa dovesse assumere verso il mondo e gli uomini. È opportuno ricordare che il citato atto risente chiaramente del contesto culturale e sociale degli anni nei quali è stato prodotto, anche se alcuni aspetti presi in esame continuano ad essere significativamente attuali. In particolare, tra questi, si segnala il principio che rivendica il primato dell’uomo, vale a dire la centralità del singolo rispetto allo Stato ed alle altre forme di organizzazione sociale.
Da tale impostazione scaturisce il principio che il benessere della persona permette e fa crescere quello dell’intera società e non il contrario. Quando l’uomo è asservito allo Stato, vede contrarsi significativamente la propria dignità, fino, in casi estremi, alla sua completa eliminazione, allorché gli vengano negati i diritti fondamentali, maxime la libertà, tra le quali quella religiosa.
Nella seconda parte della Gaudium et Spes, al capitolo III, si tratta, tra l’altro, di alcuni principi che regolano la vita economico-sociale, che offrono spunti di riflessione per la loro attualità. Al punto 71, nello specifico, si fa riferimento al dominio privato dei beni: "La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento della libertà umana. Infine, stimolando l'esercizio della responsabilità, essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili. Nonostante i fondi sociali, i diritti e i servizi garantiti dalla società, le forme di tale potere o di tale proprietà restano tuttavia una fonte non trascurabile di sicurezza".
Sulla base del principio della comune destinazione dei beni, i cristiani devono essere però consapevoli che "la proprietà privata ha per sua natura anche un carattere sociale". E trascurarlo può "diventare in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire facile pretesto a quelli che contestano il diritto stesso di proprietà". Ciò che la Chiesa quindi rifiuta è "una mentalità economicistica" che "si diffonde sia nei paesi ad economia collettivistica che negli altri" (punto 63) e che interpreta i rapporti umani come meri rapporti di produzione, non considerando il diritto di proprietà in quanto tale, che invece la Chiesa identifica come un attributo della libertà umana, intesa sia in senso personale che sociale.
Nel medesimo indirizzo si pongono i numeri 2402 e seguenti del Catechismo della Chiesa Cattolica (Parte III, Sezione II, Capitolo 2, articolo 7), ove l’appropriazione dei beni è legittima al fine di garantire la libertà e la dignità delle persone, di aiutare ciascuno a soddisfare i propri bisogni fondamentali e i bisogni di coloro di cui si ha la responsabilità.
Il Concilio ha in buona sostanza sviluppato una lettura antropometrica delle relazioni sociali per nulla accomunabile alle ideologie anti-capitaliste e al socialismo novecentesco. E tutto questo, in vigenza di posizioni mai smentite nei documenti successivi, dovrebbe anche contribuire a interpretare correttamente le posizioni sociali dell'attuale Pontefice, molto segnate da una speciale sollecitudine verso i poveri, ma non da una contestazione ideologicamente collettivista della proprietà privata.