L'Italia è ancora a rischio: la politica e il coraggio di dire la verità
Istituzioni ed economia
Pian piano, sulla stampa internazionale e nei mercati finanziari sta emergendo con sempre maggiore insistenza un clima di sfiducia nei confronti dell'Italia e della sua tenuta finanziaria. Non c'è nessun complotto o cospirazione, di quelli amati dalla procura di Trani o da alcuni mancati premi Nobel nostrani.
C'è forse un radicato pregiudizio, frutto peraltro di decenni di bassa credibilità della nostra classe politica in Europa, ma c'è soprattutto la realtà: le prospettive di crescita dei prossimi anni restano basse, ci muoviamo nell'ordine dei decimali, mentre l'enorme debito pubblico è ancora fonte di preoccupazione per un intero continente. Avete presente l'accordo sottoscritto la scorsa settimana tra il governo italiano e la commissione UE per gestire le sofferenze delle banche italiane? È potenzialmente un buon accordo, ma che fonda tutta la sua efficacia sulla capacità dello Stato italiano di offrire una reale garanzia pubblica per questa montagna di crediti in sofferenza da impacchettare e cartolarizzare. E con un debito del 130% del PIL, che garanzia c'è?
Sul fronte più propriamente fiscale, avremo tra qualche mese il solito problema: far quadrare i conti dei prossimi anni disinnescando le famigerate "clausole di salvaguardia" (cioè aumenti di tasse) e provando a strappare la disponibilità della Commissione Europea a qualche miliardo in più di deficit rispetto agli obiettivi di convergenza. Quando sentite Renzi e Padoan evocare "maggiore flessibilità", si tratta di questo: ottenere da Bruxelles il via libera a qualche zero virgola di deficit/PIL in più per il prossimo anno, una sorta di "premio" rispetto alle riforme adottate e da adottare. Negoziare è un'arte nobile e noi speriamo davvero che la Commissione Europea non si mostri insensibile alle richieste italiane, ma perché questo avvenga occorre che il Governo italiano abbia basi negoziali forti e solide, più di quanto abbia oggi.
Le riforme da adottare, dunque. Quel che finora è stato fatto - la legge previdenziale Fornero del 2012, il Jobs Act del 2014 e gli altri provvedimenti dei governi Monti, Letta e Renzi - è stato fondamentale, ma lo sforzo per risanare e modernizzare l'economia e la finanza pubblica italiana è ancora lungo e complesso. Ed è una partita tutta italo-italiana, davvero ha poco senso urlare all'Europa matrigna e tecnocrate che non fa e non ci fa fare. A distanza di qualche anno dalla fase più dura della crisi finanziaria che dall'Atlantico è giunta in Europa, possiamo affermare che le politiche di austerità hanno funzionato in Spagna, in Portogallo e in Irlanda. Non godono di buona stampa, come ha scritto Nicola Rossi.
E nonostante le lamentazioni di tanti, l'Italia ha ancora una spesa pubblica sproporzionata rispetto alle reali possibilità dei suoi cittadini e delle imprese di mantenerla con le loro tasse. Funziona l'austerità e funzionano le politiche di espansione dell'output potenziale, a cominciare da quelle liberalizzazioni che il nostro Paese continua ad essere così allergico (il ddl Concorrenza attualmente in discussione in Parlamento è stato eroso nella sua efficacia da tante e forti corporazioni). C'è ancora la forza di riformare? Soprattutto, c'è ancora il coraggio di dire agli italiani la verità, e cioè che il nostro Paese è ancora fortemente a rischio?