napoli sera

I numeri del rapporto Svimez per il 2015 non sono molto diversi da quelli del 2014, né da quelli del 2013. Ciò testimonia la cronicità del processo di desertificazione industriale, economica e sociale del Mezzogiorno.

E’ il segnale più crudo e “definitivo” del fallimento di quell’assistenzialismo che per decenni ha drogato il Sud di spesa pubblica, ma non di vera crescita, innovazione, produttività e competitività. Chiusi i rubinetti, per volontà del Generale Recessione, è crollata la domanda, sono calati drammaticamente gli investimenti (meno 59 per cento negli ultimi setti anni), l’emigrazione ha ripreso volumi da esodo. I dati economici sono strazianti, quelli demografici ancora di più: il Mezzogiorno ha popolato di suoi figli l’Italia intera, ma ha ormai una natalità anemica, che insieme all’emigrazione costante porterà la sua popolazione ad essere sempre più piccola e più anziana.

Il parallelo tra le condizioni del Sud Italia e della Grecia, che in tanti abbiamo evidenziato nel dibattito pubblico, contiene in se un paradosso: insieme ai partner europei sosteniamo finanziariamente un altro paese membro dell’Unione, chiedendo al governo e al parlamento ellenico sacrifici e riforme serie, ma non riusciamo ad aprire un uguale “negoziato” con il Mezzogiorno. Non c’è una minaccia equivalente alla Grexit, d’altronde, l’unica leva che ha indotto Alexis Tsipras a più miti consigli. Non c’è il rischio di Mezzogiornexit dall’unione monetaria, per dirla in altri termini, dunque non avremo nemmeno uno Tsipras che si converte al riformismo per ragioni di pragmatismo.

Viaggiando nelle province di quel che fu il Regno delle Due Sicilie, non c’è solo malaffare e mediocrità. Al contrario, s’incontrano ottimi amministratori locali, attivisti politici coraggiosi e funzionari eccellenti. Eppure, nonostante loro, il Mezzogiorno non ha oggi una riconoscibile e credibile rappresentanza nella politica nazionale. Nella Seconda Repubblica, il Sud non ha espresso alcun presidente del consiglio, né un candidato premier. Abbiamo avuto un napoletano e un siciliano come capi di Stato, ma nessun politico meridionale investito del ruolo elettorale di leader di un partito o di una coalizione a vocazione maggioritaria. La Germania ha da anni con Angela Merkel una cittadina dell’Est al vertice di governo, da noi il muro tra Nord e Sud non è mai caduto.

Non è colpa dei settentrionali, ma dei partiti nazionali. La rappresentazione politica del Sud ha finito per essere un fenomeno di localismo, di sindacalismo geografico, non di affermazione di un riscatto nazionale. Nessuna delle principali formazioni politiche italiane ha pensato di coltivare e promuovere nel Sud una classe politica di migliore caratura di quella inevitabilmente condizionata dal clientelismo.

I partiti si sono illusi di poter gestire e contenere i fenomeni politici del Sud, a volte caricaturizzandoli, altre volte sfruttandoli a proprio vantaggio: fanno comodo le caterve di voti e preferenze che troppi personaggi discutibili sono capaci di raccogliere, no? “Quello ha i voti”, si dice di parlamentari o di consiglieri comunali che a stento si esprimono in italiano, che non hanno alcuna specifica competenza, ma che tengono in scacco maggioranze e governi nazionali e locali in virtù del loro sistema para-mafioso di controllo del consenso. “Quello è bravo, ma non ha i voti”: così tanti politici meritevoli vengono ammazzati nella culla, nel disinteresse e spesso nella connivenza dei vertici nazionali.

E’ a Roma che si gioca la partita del Sud, la chiave del futuro del Mezzogiorno è nelle scelte che l’Italia vorrà compiere per liberare la società meridionale dalle sue zavorre. L’Italia che ha saputo, a fatica e con mille contraccolpi, riformare le pensioni e abolire il vecchio Articolo 18, ora deve chiedere all’opinione pubblica meridionale di accettare riforme non meno dolorose di quelle imposte alla Grecia. Ma occorre che la voce del cambiamento reale, nel Mezzogiorno, sia interpretata da nuovi protagonisti, che rifiutino vecchi paradigmi e logiche perverse. Occorre una classe politica meridionale capace di dire ai cittadini la verità e non quello che molti di essi, troppo spesso, vogliono sentirsi dire. Una classe politica che parli italiano e inglese, con accento meridionale, che abbia una visione e orizzonti internazionali. Ce ne sono centinaia di migliaia, di meridionali così.

PS: Le nostre proposte per il Sud: le stesse dello scorso anno, purtroppo.