Masini muro

Il più grave problema del Sud è la drammatica emorragia di capitale umano. Secondo le anticipazioni del rapporto Svimez 2018, negli ultimi 16 anni più di 900 mila giovani tra i 15 e i 34 anni hanno lasciato il Mezzogiorno, verso il Nord e verso l’estero. Di questi quasi 800 mila non sono tornati.

Secondo le stime dell’Istat di lungo periodo, come effetto di un progressivo calo delle nascite e di una continua perdita migratoria, nei prossimi anni la contrazione demografica renderà il Sud una delle macroregioni più vecchie d’Europa, con inevitabili ripercussioni per lo sviluppo e per l’equilibrio del sistema socioeconomico meridionale e nazionale.

La questione demografica e generazionale, dunque, si conferma un nodo centrale per l’Italia e per il Sud. Senza giovani non c’è futuro e senza Sud soffre tutto il Paese, vista l’assoluta interdipendenza economica fra le due aree: al di là della rilevanza dei fattori locali, infatti, la crescita dell’economia meridionale è fortemente influenzata dall’andamento di quella nazionale, e viceversa.

Per queste ragioni, il definitivo progresso del Sud è senza alcun dubbio una questione di interesse nazionale, com’è noto almeno dall’unità d’Italia, ma non solo: nell’epoca dello scontro aperto-chiuso questa assume in ambito geopolitico e internazionale ancor di più una connotazione strategica europea, come ponte culturale ed economico del bacino del Mediterraneo.

In ogni caso, per invertire il trend demografico e rilanciare il processo di sviluppo, occorre migliorare l’attrattività del Mezzogiorno. L’incoraggiante livello degli investimenti privati (nel 2017 cresciuti del 3,9%, +0,2 rispetto al Nord) va accompagnato da nuovi investimenti pubblici in infrastrutture, ricerca e trasferimento tecnologico, notevolmente ridotti negli ultimi anni (-7,1% dal 2008 al 2017). Bisogna garantire servizi pubblici più adeguati e un uso efficace dei Fondi europei per lo sviluppo regionale: sempre Svimez sottolinea come risultino avvantaggiate le regioni meridionali più efficienti e dinamiche in questo settore.

Più di tutto è imprescindibile l’apertura internazionale per consolidare i punti di forza dell’economia meridionale, come le produzioni agroalimentari di qualità, la vocazione mediterranea, i beni culturali e il turismo, stimolando i servizi connessi e l’attitudine imprenditoriale. Bisogna rafforzare i centri logistici, le Università e i centri di ricerca del Sud per renderli punti di riferimento per il Nord Africa e il Medio Oriente, per attrarre nuovi investimenti e per aggredire nuovi mercati.

Le preoccupazioni per le politiche di chiusura e il sovranismo economico del Governo rallentano la crescita e incidono sul progresso del Mezzogiorno. Tutto ciò significa meno lavoro, meno opportunità, più emigrazione e meno giovani.

Al contrario, per trasformare la potenza in energia, il futuro del Sud deve essere giocato in un campo aperto. È una partita che si vince se si accetta la sfida di essere l’avamposto mediterraneo dell’Europa. Non è un’utopia, ma una visione possibile ed è tutto già scritto nei nostri cromosomi, crocevia di civiltà e popoli europei e mediterranei.