tsipras eurogruppo

Nella lunga notte dopo il voto del Parlamento greco sulle prime misure necessarie per dar seguito all'accordo per il terzo piano di aiuti, la parola che più risuonava in tutte le televisioni elleniche è trianda dhio, trentadue. Trentadue i No ben scanditi o detti con falsa noncuranza, durante il voto palese, da altrettanti deputati di Syriza, compresi i tre condottieri della rivolta a sinistra: Varoufakis, che non ha ormai bisogno di presentazioni, Lafazanis - non più Ministro dell'Energia, una delle “vittime” del rimpasto di Governo - e Konstantopoulou, la Boldrini greca, che ha messo in atto manovre ostruzionistiche finché ha potuto, per poi lasciare la Presidenza del dibattito al Vice.

Dei numeri assoluti (229 a favore, 64 contrari, 6 astenuti e 1 assente) se ne è parlato più su Skytg24 qui da noi che su Mega o SKAI dall'altra parte del Mediterraneo.  Ormai il Parlamento è diviso da mesi in due blocchi contrapposti: da una parte Syriza, Anel, KKE e Alba Dorata, dall'altra tutti gli altri: facce vecchie e nuove di Nea Dimokratia e Pasok e To Potami di Theodorakis, l'unico partito che, fra gli oppositori, non può essere tacciato di aver contribuito alla sfascio precedente, semplicemente perché non era ancora nato. Un po' gli stessi schieramenti del referendum a guardare bene. Con la differenza sostanziale che ora sono quelli che urlavano nelle piazze piene e Rimaniamo (in) Europa a votare con Tsipras (anche Anel alla fine ha votato a favore, pur con un intervento durissimo di Kammenos, attuale ministro della Difesa).

Mentre in Italia la Brigata Kalimera, fresca di ulteriore gita ad Atene per il referendum, si è spaccata sul giudizio che la Storia darà del suo pupillo greco, vittima della Germania cattiva o cialtrone senza appello, in Grecia ci si interroga pragmaticamente sugli scenari possibili, in una contesa che è tutta interna a Syriza. Sommando i trentadue ai sei astenuti e all'unico assente si è lambita ma non si è superata quota quaranta, considerata da H Kathimerinì, principale quotidiano greco, di ispirazione centrista, la soglia psicologica e politica che avrebbe fatto cadere il governo.

L'impressione è che, comunque, il primo governo di sinistra, con un programma anti austerity ma che è andato a trattare l'austerity, così come l'abbiamo conosciuto a gennaio dopo le elezioni, non esista già più. Il Ministro degli Interni ha paventato la possibilità di elezioni in autunno, venerdì sera è arrivato il prevedibile rimpasto di Governo per tagliare i dissidenti che avevano incarichi governativi e dal blocco delle opposizioni, i cui voti sono ormai necessari per l'approvazione di qualunque misura, si hanno dichiarazioni severe ma concilianti.

Dora Bakoianni, onnipresente nelle televisioni di mezzo mondo (la sua pagina facebook è un bollettino di tutte le sue apparizioni, in patria e all'estero), figlia d'arte, ex Sindaco di Atene, ex Ministro, ora di nuovo deputata di Nea Dimokratia dopo aver provato a fondare un partito suo, ha avuto parole ben più moderate per Alexis Tsipras di quelle che aveva pronunciato nei giorni prima del referendum, scagliandosi ora contro il solo Varoufakis, accusandolo di dolo politico e di voler rovinare il paese. Theodorakis, considerato da molti, facendo un po' di fantapolitica, il candidato ideale per un governo “Istituzioni friendly” nel momento in cui si decidesse per un politico e non per un tecnico, pur avendo fatto notare che il premier non ha ringraziato le opposizioni per il voto responsabile dei giorni scorsi è pronto a sostenere tutte le riforme necessarie, senza però appoggiare il governo in nessun modo.

L'impressione è che nessuno, fra i politici più in vista dei partiti d'opposizione, ora con un peso governativo anche se indiretto, voglia essere un novello Samaras e trovarsi schiacciato fra le richieste europee e le rivendicazioni dei greci. Che la palla resti in mano a Tsipras, che ha avuto non una ma due legittimazioni popolari: alle elezioni di gennaio e al referendum di luglio e che ancora, pur con le contestazioni per un No che per molti è diventato un Sì, gode di un discreto margine di gradimento rispetto agli altri politici sulla scena.
Vedremo ora cosa succederà non appena entreranno in vigore le nuove misure: fra le altre, l'aumento dell'Iva sui beni di prima necessità, l'accantonamento della legge sul salario minimo, niente ripristino della contrattazione collettiva, la (s)vendita del patrimonio pubblico. A rischio anche la vita della neonata, o meglio risorta, ERT, la tv pubblica la cui riapertura aveva toccato una delle vette più alte, dal punto di vista simbolico, della narrazione del governo, per usare un termine caro ai nostri kalimeros.

Se i voti in Parlamento a Tsipras non mancheranno, alla sua sinistra sembra esserci spazio per un nuovo partito, il partito della Piattaforma di Sinistra, i dissidenti di Syriza, anche detto il Partito del piano B: quello di Varoufakis, che per spaventare Merkel e soci voleva simulare un'uscita dall'Euro, coniando delle promesse di pagamento/buoni di credito, uscendo dall'orbita della BCE e tagliando il rimborso dei bond detenuti dalla stessa BCE. Quel piano B che Tsipras ha dimostrato di usare solo come un bluff e che l'ha costretto alla resa con le Istituzioni non appena queste si sono rese conto che l'unico che davvero vuole il Grexit non parla greco ma tedesco.

Intanto lunedì riaprono le banche e proprio quando il capo del Governo sembra più debole, Bce, Fmi e Governo statunitense mettono sul tavolo quella che era la sua proposta centrale fin dall'inizio: la ristrutturazione del debito, probabilmente non un taglio ma l'allungamento dei tempi di rimborso a trent'anni e una sforbiciata degli interessi. Taglio a cui si oppone la Germania ma che, su questo, pare ormai essere stata messa in minoranza, soprattutto nell'opinione pubblica europea. Quello che non è riuscito all'aristerà (sinistra in greco) potrebbe riuscire, ironia della sorte, grazie ad alcuni fra gli emblemi del cosiddetto turboliberismo burocratico.