L'ideologia stracciona della sovranità declinata come irresponsabilità - padroni a casa nostra, ma a spese altrui - non si ferma in Grecia, ma viaggia a gonfie vele dalla Francia lepenista alla Spagna infatuata di Podemos, mentre in Italia anima un partito maggioritario, benché fortunatamente non coalizzabile, che va da Grillo a Salvini a Berlusconi e a tutto quel che si agita a sinistra (ma non necessariamente fuori) del PD. Che in altri paesi d'Europa vincano le elezioni altri Tsipras è, piaccia o meno, tra le opzioni possibili, frutto più della storia politica di lungo periodo di questo continente che della contingenza della crisi degli ultimi anni.

Grecia-elezioni

Ma è nella fragilità dell'Europa e nella miopia dei suoi leaders la forza del ricatto di Tsipras, più che nel consenso del quale sembra ancora godere presso il popolo che tiene in ostaggio: nella consapevolezza che l'Unione e la sua moneta non sopravviverebbero se passasse il messaggio che dall'Euro e dal mercato comune si può entrare e uscire come si entra e si esce da un bar, e se certificassimo una volta per tutte, con il sacrificio della Grecia, che l'Europa non è abbastanza forte e adulta da incorporare il rischio, tutt'altro che remoto, che al governo di uno o più dei suoi Stati membri vada gente come Tsipras e Varoufakis.

L'idea degli Stati Uniti d'Europa è ormai fatta propria e data per acquisita da più di una generazione di europei - studenti europei, imprenditori europei - e quindi è in un certo senso irrevocabile. Ma non significa nulla fino a che non sarà sciolta la questione della sovranità e della responsabilità. Per ora agli Stati viene chiesto di essere, bontà loro, sovrani e responsabili, per poter far parte del club. Dovrebbero essere meno sovrani per poter essere, come ogni tanto capita comunque che siano, meno responsabili: non si è europei a seconda di chi vince un'elezione.

Oggi un'Europa che avesse una maggiore consapevolezza del suo ruolo storico impedirebbe il grexit, "whatever it takes", ma al tempo stesso imporrebbe a se stessa una nuova costituzione politica, fatta di adesione a valori comuni - più che a requisiti contabili - costruita nel bilanciamento dei poteri e nella rappresentatività delle sue istituzioni, con una concorrenza fiscale reale tra i suoi Stati membri, e nella quale l'ipotesi di un default sovrano sia compensata da un welfare federale che si faccia carico dei cittadini in difficoltà, in un quadro di maggiore mobilità intra-europea della forza lavoro, e non del rifinanziamento di bilanci pubblici agonizzanti e della pastura dei patti perversi tra eletti ed elettori che questi bilanci hanno nel corso degli anni prosciugato.

In mancanza di ipotesi di questo tipo non sembrano esserci altri esiti possibili per la vicenda greca: si va verso un sicuro default, una probabile uscita dall'euro e una possibile uscita dal mercato comune. Ma se i greci, con ogni probabilità, non hanno ancora ben chiara la dimensione del dramma che li attende, anche per il resto d'Europa - Italia in testa - il risveglio alla realtà post-grexit potrebbe essere tutt'altro che rassicurante.