Era il 2007, quasi un decennio fa: l'economia mondiale era in piena espansione, quella italiana vivacchiava ancora, il sindaco di Roma era Veltroni, l'opinione pubblica era lontana mille miglia da qualunque pensiero di infiltrazioni mafiose nella capitale d'Italia.

In un sonnacchioso giorno di agosto, come nella miglior tradizione radicale, si levò da via di Torre Argentina una voce isolata, a fare un'affermazione "scandalosa": "Nei locali del centro di Roma si parla troppo napoletano". A denunciare era Rita Bernardini, all'epoca segretario in carica di Radicali Italiani; a sommergerla di accuse di "razzismo" e dietrologia, invece, ci pensarono personalità politiche quali Alessandra Mussolini e Italo Bocchino. L'allora prefetto di Roma Achille Serra fu drastico: "Le forze dell'ordine in questi ultimi anni hanno lavorato sodo e con risultati brillantissimi. Mai è emersa la possibilità di una gestione territoriale delle organizzazioni criminali di cui sopra".

Mafia Capitale

La Bernardini replicò: "I sospetti che ho espresso - che trovano conferma negli esiti di numerose recenti inchieste condotte dalla magistratura romana - nascono dal vedere ripetersi a Roma di un fenomeno ben conosciuto a Napoli come in altre località italiane: vorticose attività di compravendita di esercizi commerciali bene avviati e di immobili, e costosissime ristrutturazioni che celano iniziative di riciclaggio di denaro sporco." Dove per "sporco", vista la pluridecennale attività politica della leader radicale nel campo dell'antiproibizionismo, si intendeva soprattutto denaro ricavato dai traffici illeciti di droga.

A novembre 2014, un'ondata di arresti scuote Roma: l'inchiesta in corso viene battezzata "Mafia Capitale", a sottolineare come la "cricca" di potere che, secondo gli inquirenti, tiene sotto controllo la città, ramificandosi tra istituzioni e sottobosco illegale, abbia molte delle caratteristiche del crimine organizzato.

Tra chi invoca le dimissioni del sindaco Marino e chi propone autocritica, tra inchieste giornalistiche "leggermente" in ritardo e scandalo generale, ai Radicali resta la soddisfazione, ma anche l'amarezza, di essere, come spesso nella loro storia, arrivati prima di tutti a denunciare malaffare e corruzione. In quest'intervista, cerchiamo, proprio con Rita Bernardini, di fare il punto sulla situazione.

Rita Bernardini, cosa vorresti rispondere oggi a chi all'epoca ti accusò di "razzismo" e cercò di sminuire così la portata delle tue affermazioni?
Consentimi una premessa. Se l'intervista riguarda il processo "Mafia capitale" dico subito che quanto sta avvenendo nella capitale ha a che fare probabilmente solo di striscio con le mie affermazioni del 2007. Gli inquirenti l'hanno semplicemente sparata grossa (416-bis, associazione mafiosa) per avere più strumenti intimidatori a disposizione di fronte al fenomeno della corruzione che nella capitale c'è, c'è sempre stato, è di proporzioni gigantesche, e che solo da pochi anni viene messo a fuoco da alcune -probabilmente troppo poche e troppo poco pregnanti- inchieste. Dovremmo parlare piuttosto di "mafiosità partitocratica" (definizione pannelliana) radicata nelle viscere delle istituzioni.

In che senso?
Trovo perfetta una dichiarazione di Marco Pannella risalente al 1992, l'era di Tangentopoli: "Un paio di generazioni di magistrati, tranne esigue minoranze radicali, hanno concorso in modo determinante, con le loro omissioni, a creare un regime di desolazione, di disordine, di corruzione, di iniquità arrogante e insopportabile, di disservizi invivibili, di degrado dell'ambiente e della qualità della vita. Lo stesso ceto politico, estraneo alla cultura dello Stato di diritto, non s'è nemmeno accorto che la tragedia che l'investe, e ci investe tutti nel paese, è in buona parte dovuta alla impossibile supplenza della giurisdizione cui è stato condannato, cui il Parlamento e il Governo sono stati costretti per la sistematica inadempienza giurisdizionale e ai propri obblighi ed alle proprie funzioni."

Torniamo alle tue dichiarazioni del 2007: hanno scatenato polemiche feroci, ma poi si è scoperto che avevi ragione...
Quando 8 anni fa, nel corso di una conferenza stampa sulla droga, feci quelle dichiarazioni sulle infiltrazioni di tipo camorristico/mafioso a Roma, mi riferivo in particolar modo al riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico, denaro che veniva vorticosamente "ripulito" attraverso l'acquisizione di esercizi commerciali quali bar, ristoranti, hotel i cui locali erano oggetto (anche più volte in un anno) di ristrutturazioni milionarie e di ripetuti passaggi di proprietà. Non che io avessi fatto mie indagini, non ne avevo i mezzi, come non li ho oggi. Avevo semplicemente osservato quel che avveniva sotto gli occhi di tutti i frequentatori del centro storico. Tralascio le reazioni dei politici campani dell'epoca, ma ricordo che l'allora prefetto di Roma Achille Serra rispose stizzito che a Roma era "tutto sotto controllo", che le mie affermazioni erano "pesanti e prive di fondamento", salvo poi convocare di lì a poche ore il Comitato provinciale per la sicurezza e l'ordine pubblico.

Comunque, dal 2007 ad oggi non si contano le inchieste anche giornalistiche che hanno dovuto darmi ragione, ma la soddisfazione più grande l'ho avuta grazie alla difesa dell'avvocato radicale Giuseppe Rossodivita nel 2012, quando la Rai-tv, il conduttore televisivo Mirabella e il sociologo De Masi sono stati condannati a risarcirmi perché nella trasmissione "Cominciamo bene" i due protagonisti mi avevano abbondantemente, mi si passi l'espressione, presa per il culo sostenendo che le mie dichiarazioni erano probabilmente la conseguenza di un caffè al Viagra servitomi da qualche barista napoletano. 10mila euro che ho immediatamente girato nelle casse del Partito Radicale. Il Tribunale di Roma motivò l'esiguità del risarcimento sostenendo che il danno morale da me subito fu ridimensionato dal fatto che la mia opinione, "a breve distanza di tempo, era stata confortata dalle prese di posizione della Magistratura".

Cosa pensi della politica locale romana? Bisogna azzerare tutto subito, come chiedono le destre e i grillini, o c'è qualcosa da salvare? Penso a Riccardo Magi, radicale eletto al Consiglio Comunale, che ha cominciato a lavorare da subito contro la corruzione in città, ma anche ad altre persone oneste e capaci, e soprattutto alla posizione scomoda del sindaco Marino: se lui, che sta collaborando con le indagini, dovesse essere costretto a dimettersi, non ci sarebbe il rischio che i poteri criminali di prima, apparentemente spiazzati dal "sindaco marziano", si consolidino di nuovo?
Nel sud d'Italia sono all'ordine del giorno i comuni sciolti per mafia e governati da commissari prefettizi. Se di associazione mafiosa si tratta come sostiene il procuratore Pignatone – e io, come ho già detto, non ne sono convinta – non vedo perché la capitale dovrebbe avere un trattamento di favore. Riccardo Magi sta facendo un ottimo lavoro "radicale", ma le sue capacità di proposta riformatrice sono limitate da una situazione istituzionale e democratica letteralmente allo sfascio. Le proposte di Riccardo non potevano -e non possono oggi- essere accettate dalla maggioranza di cui fa parte. All'inizio del mandato perché il PD pensava di cavarsela in continuità con le modalità di amministrare in combutta con alcuni funzionari capitolini; oggi perché il medesimo PD è alla ricerca di appigli per tentare di non affogare nel fango. Sulle questioni oggetto delle inchieste di Pignatone (campi rom e profughi) il PD potrebbe fare sue le proposte di delibera di Radicali Roma e di Magi, ma dubito che lo farà.

Quanto al rischio che, rifatte le elezioni, tutto ritornerà sostanzialmente come prima, non di rischio ma di certezza si tratta, perché affinché qualcosa cambi occorrerebbe avere "elezioni democratiche" e da anni questo in Italia (non solo a Roma) non è più possibile. A quanto sembra siamo rimasti abbastanza isolati, con Marco Pannella, ad affermarlo.

Il "lungomuro" sul litorale romano, altro centro dell'inchiesta che per brevità continuiamo a definire "Mafia Capitale": pochi ricordano che, nel 1992, Marco Pannella divenne presidente dell'allora XIII Municipio di Roma e ingaggiò una lotta senza quartiere contro l'abusivismo edilizio, interrotta dopo meno di quattro mesi. Puoi raccontarci qualcosa di più?
Stiamo parlando di 23 anni fa. Marco in quei 100 giorni da amministratore (l'unico incarico di governo che gli sia stato affidato nella sua vita) capì che il problema era istituzionale da una parte e di rispetto delle regole, contro le prepotenze, dall'altra. Ottenne con successo, nell'ottica federalista, l'autonomia per Ostia e affrontò immediatamente (anche con le RUSPE, ironia della sorte, NdR) il problema devastante dell'abusivismo edilizio. Trovò però di fronte a sé il "muro" ben più resistente di una magistratura cieca, sorda e muta che al ripristino della legalità preferì dare man forte a chi gli abusi a danno del territorio aveva perpetrato con sfrontatezza.

Secondo te quali sono, oggi, i "nodi" del malaffare romano con cui, in un prossimo futuro, bisognerà fare i conti?
Il primo problema – lo so, mi ripeto – è di democrazia. Senza elezioni democratiche dove le leggi per concorrervi siano rispettate e dove sia data ai cittadini la possibilità concreta di conoscere le liste e le candidature in competizione, è inutile che stiamo a discutere.

Più specificamente, si dovrebbe lavorare su alcuni punti: anagrafe pubblica degli eletti e dei nominati, anagrafe dei rifiuti, vera conoscibilità degli appalti, semplificazione delle procedure, perché più la normativa è complicata più è facile che la corruzione trovi la sua strada "semplificatrice"... insomma un controllo diffuso da parte dei cittadini, questo è quello che occorre. Nel 2007, come radicali, proponevamo all'amministrazione romana di mettere in piedi una banca dati che registrasse tutti i cambi di gestione nel commercio, i passaggi di proprietà, le autorizzazioni richieste per ristrutturazioni, ecc. Un lavoro che era già urgente otto anni fa. Ho motivo di dubitare che la banca dati sia stata realizzata, mentre sono convinta che i controlli e gli incroci (se vengono fatti - e ne dubito) si verifichino ancora sul cartaceo andando a cercare i faldoni giusti.