Molti commentatori hanno espresso opinioni contrariate in merito alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco della perequazione delle pensioni. A mio avviso, la Corte Costituzionale ha fatto il suo mestiere e nulla più. Non penso che la Corte si sia sostituita indebitamente alla politica. Penso, invece, che come accaduto spesso in passato, anche questa pronuncia possa essere vista come un preciso richiamo ai governi e alla politica perché facciano il loro, di mestiere.

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La sentenza che ha dichiarato illegittimo il blocco della perequazione ha suscitato diversi tipi di reazioni. Per quella parte di opinione pubblica, cioè la quasi totalità, che a suo tempo aveva criticato la legge Fornero, la reazione di compiacimento era praticamente scontata. Secondo l'opinione più diffusa, la Corte altro non ha fatto se non sanare un'ingiustizia. Tutti contenti, dunque, aspettando le prossime mosse del governo, convinti che altri pezzi della riforma Fornero verranno presto smontati. Che vedremo un nuovo scivolo per gli esodati. E che lo Stato, finalmente, restituirà il maltolto ai pensionati.

Costoro dimenticano, però, o fanno finta di dimenticare, che lo stato non paga mai con soldi propri. Che lo stato non ha soldi propri. Paga con quelli dei contribuenti, presenti o futuri che siano. E quindi saranno i più giovani, con maggiori tasse e contributi sociali, a tappare il buco che si apre nei conti pubblici. Prendendosi un altro schiaffo, in barba a quell'idea di equità intergenerazionale sempre più bistrattata, del tutto marginale nel pensiero politico dominante, quasi rimossa dalle coscienze e relegata ormai nell'inconscio collettivo.

Anche tra gli economisti non manca chi giudica positivamente la decisione della corte. Questi ultimi sono convinti che la sentenza è proprio quello che ci voleva. La giusta risposta a un governo incapace di abbandonare l'austerità in favore di una nuova stagione di stimoli keynesiani. Sono quelli che "per superare la crisi economica bisogna aumentare ancora di più la spesa pubblica". Li conosciamo già. Pensano che ci si possa sollevare da terra tirandosi per le stringhe degli stivali. Lasciamoglielo pensare, e non ci torniamoci più sopra.

Il coro degli esperti di finanza pubblica, invece, è abbastanza compatto nel definire inopportuna la pronuncia della corte. Proprio per le conseguenze negative che produce sui conti pubblici. La sentenza viene descritta come una indebita ingerenza nella politica di bilancio, una intromissione in scelte redistributive e allocative della spesa che spettano soltanto al governo e alla politica. L'atteggiamento della corte costituzionale viene definito miope, dinanzi alla situazione di emergenza in cui si trovano le finanze dello stato.

Io credo che la decisione della Corte, in realtà, non è una intromissione nelle scelte politiche. È solo la risposta a scelte inidonee fatte dalla politica. È un richiamo ai governi a non usare soluzioni improprie per tamponare problemi che, invece, richiedono scelte radicali. Un richiamo a non tentennare di fronte alle scelte politiche difficili, a non rispondere sempre e soltanto con mezze misure, compromessi, provvedimenti temporanei, scaricando di fatto sulle spalle della Corte responsabilità che non sono sue.

Con il blocco della perequazione, il governo Monti volle conseguire il contenimento della spesa pensionistica con uno strumento, di fatto, improprio. Così come era inidoneo il contributo di solidarietà sulle pensioni di importo elevato. Intervento che, infatti, la Corte dichiarò a sua volta illegittimo. Sono due interventi tecnicamente diversi tra loro, ma hanno in comune il fatto di essere impropri e inidonei a risolvere il vero problema delle pensioni italiane. Si configurano entrambe come interventi tampone, soluzioni temporanee, che significano semplicemente "rinviare la soluzione del problema a domani, perché oggi non ho il coraggio o la forza di fare quello che andrebbe fatto".

Perché il problema vero, il difetto del sistema pensionistico italiano sta ancora tutto là e nessuno ha avuto il coraggio di metterci mano. E quel difetto sono le pensioni retributive. Chi ne beneficia, in moltissimi casi, percepisce un importo molto superiore all'equivalente in termini di contributi versati nel corso della propria vita lavorativa. E la soluzione propria e idonea a risolvere questo problema sarebbe quella di rideterminarne l'importo applicando finalmente il metodo contributivo a tutti. Almeno per le pensioni non ancora maturate. D'altro canto si tratta di legge ordinaria. Perché il sistema previdenziale è costruito su leggi ordinarie, e con leggi ordinarie può essere modificato.

Insomma, l'importo delle prestazioni pensionistiche andrebbe rideterminato "a monte" e alla radice. E andrebbe giustificato non semplicemente con la generica motivazione delle esigenze di contenimento della spesa e dell'emergenza finanziaria. Ma con il fatto preciso e specifico che il sistema pensionistico, così come è attualmente disegnato, comporta una sperequazione delle prestazioni e un ingiustificato trasferimento di risorse a favore delle attuali generazioni di pensionati e prossimi pensionandi, a danno delle generazioni più giovani. È questa la soluzione che, invece, si è sempre tentato di eludere con surrogati come il blocco della perequazione o il contributo di solidarietà.

I provvedimenti del governo Monti avrebbero dovuto stabilire il ricalcolo delle prestazioni pensionistiche, di tutte, in base al criteri del sistema contributivo, non limitarsi a bloccare la perequazione per qualche anno. Mi rendo conto che sarebbe stato chiedere troppo a un esecutivo che si era già fatto carico di una sostanziosa correzione della spesa pensionistica con l'innalzamento dell'età pensionabile. Forse sarebbe stato chiedere troppo anche al governo Dini, che venti anni fa fu costretto a barattare l'introduzione del sistema contributivo con un salvacondotto per le pensioni, maturate e maturande, dei più anziani. Però fu quel salvacondotto a confermare e consolidare l'idea che le prestazioni pensionistiche retributive possano essere considerate una sorta di "diritto acquisito", anche se non ancora maturate.

Non so se la decisione della corte costituzionale sarà un richiamo efficace in questo senso, se i governi futuri converranno che la ricerca di scappatoie, di soluzioni facili e apparentemente indolore non basta e non serve. Ma il difetto di origine della previdenza italiana va affrontato alla radice una volta per tutte. Ma un numero crescente di italiani prende sempre più consapevolezza di questa evidenza, e il giorno in cui l'INPS garantirà finalmente a ognuno di noi la conoscenza della pensione che gli spetta in futuro (operazione che l'attuale presidente Boeri ha promesso di portare a termine in tempi brevi), tutti potranno confrontare i contributi che versano con gli importi che riscuoteranno.

Allora l'iniquità intergenerazionale della previdenza pubblica italiana sarà veramente palese. Tutti potranno misurarla nelle proprie tasche. Chissà se a quel punto i giovani saranno ancora disposti ad appoggiare le generazioni dei padri nelle manifestazioni in difesa dei privilegi acquisiti, oppure se cominceranno finalmente a porsi qualche domanda. Forse si renderanno conto che il contributo di solidarietà sulle pensioni d'oro, in fondo, è un po' come chiedere al ladro di farmi l'elemosina con i soldi che mi ha rubato.

@amedpan