Pochi giorni fa il governo ha dichiarato di voler rimettere mano alla normativa sulle pensioni. Di voler modificare la legge Fornero per consentire, a chi vuole, l'uscita anticipata dal lavoro in cambio di una penalizzazione sull'importo della pensione. Chi conosce la storia e le tare che affliggono il sistema previdenziale italiano, soprattutto chi è sensibile al tema dell'equità intergenerazionale, ha sentito un brivido freddo lungo la schiena.

ELSA FORNERO

La riforma Fornero è probabilmente la meno amata dagli italiani. Ma è stata una legge coraggiosa che ha migliorato il sistema in una situazione di emergenza. Questo è fuori discussione. Nemmeno la storica riforma Dini era riuscita ad abolire definitivamente le pensioni di anzianità. Con la legge Fornero, per una volta, a pagare non sono state le generazioni giovani ma quelle più anziane, che comunque in gran parte possono ancora contare sul vantaggiosissimo calcolo retributivo.

L'idea di rendere flessibile l'età del pensionamento in sé sembra innocua. Anzi, molti esperti di previdenza sostengono da anni che questa modifica viene incontro sia alle esigenze del lavoratore, che deciderebbe più liberamente quando ritirarsi dal lavoro, magari anche in accordo con le esigenze del proprio datore, sia a quelle dello stato, che conseguirebbe altri risparmi di spesa dovendo erogare assegni più ridotti.

E poi non manca chi, come il ministro Poletti, sostiene di voler mandare i vecchi in pensione prima per fare posto ai giovani, che così troverebbero finalmente occupazione. A prima vista, è il classico uovo di Colombo. Fa star meglio tutti e non fa male a nessuno. Ma in questa presunta "soluzione" ci sono non pochi aspetti critici.

Prima di tutto si tratta di una modifica che esplicherebbe i suoi effetti sulla spesa in un'arco di tempo non breve. In altri termini, i risparmi si vedranno solo nel medio-lungo periodo, laddove, invece, la riforma Fornero i risparmi di spesa li aveva prodotti a partire "da subito" (80 miliardi complessivi di euro entro il 2020). Peraltro, se si consente l'uscita anticipata, l'età media del pensionamento si abbassa. E la spesa pensionistica aumenta subito, anche se l'importo medio percepito da chi va prima in pensione si riduce (e poi bisogna anche vedere di quanto veramente si ridurrà!).

Come si coprirà questa maggiore spesa corrente? Qualcuno propone di convincere la Commissione europea che i conti pubblici vanno visti in un'ottica "intertemporale". Che si deve guardare, cioè, agli andamenti di medio-lungo periodo anziché fossilizzarsi sulla "dimensione annuale" del bilancio. È un modo forse un po' troppo complicato per dire una cosa molto più semplice: si aumenterà il deficit pubblico.

Il secondo problema è che la maggior parte dei pensionati in Italia percepisce meno di mille euro al mese, e non può permettersi di scherzare sull'importo della propria pensione. Per chi ha una pensione bassa o molto bassa, cioè la stragrande maggioranza (e questo è un altro aspetto dell'iniquità del nostro sistema), non ha nessun senso andare in pensione prima ma con un importo "da fame". Pochissimi sceglieranno di anticipare il pensionamento pagando la penale sull'importo percepito. Lo faranno solo se costretti.

L'uscita anticipata dal lavoro, dunque, sarebbe un'opzione concreta solo per i pensionati più ricchi, che hanno margine sufficiente per sfruttare lo scambio offerto. Insomma, sarebbe una flessibilità non per tutti, ma a uso e consumo di un numero molto ridotto di persone. Tra cui i soliti privilegiati.

Insomma, se c'è un aggravio di spesa e il meccanismo nemmeno funziona, è il caso di domandarsi quale sia l'intento reale del governo. Anche perché il ministro Poletti non nasconde che la vera priorità è quella di risolvere il problema sociale di quanti sono prossimi al pensionamento, che hanno perso o stanno per perdere il posto e sono sprovvisti di ammortizzatori sociali. La priorità è assicurare loro un "ponte" che li accompagni dal posto di lavoro fino alla pensione.

Va bene. Ma se è così, allora ditelo! La legge Fornero verrà modificata non tanto per migliorare strutturalmente il sistema previdenziale, quanto piuttosto per risolvere una contingenza che ha in parte un aspetto sociale e in parte un aspetto politico.

L'aspetto sociale, cioè risolvere in modo definitivo il problema degli "esodati", tutto sommato è comprensibile. Anche se di osservazioni da fare ce ne sarebbero un bel po'. Non ultimo il fatto che oltre 150 mila posizioni sono state già salvaguardate da leggi ad hoc, e che il numero di 350 mila stimato da fonti sindacali è probabilmente eccessivo, perché include anche i cosiddetti "esodandi", per arrivare a quanti hanno semplicemente perso il privilegio della pensione di anzianità.

Ed è qua che emerge l'aspetto politico della contingenza. Perché non si può negare che restituire il pensionamento di anzianità a quei 200 mila, e forse anche più, che se lo sono visto togliere dalla legge Fornero, sarebbe un colpo da maestro per un premier che prima o poi dovrà tornare alle urne.

Che dire, infine, dell'idea che mandare in pensione anticipata gli anziani serva ad aumentare l'occupazione dei giovani? Mi limito a osservare che finché continueremo a considerare l'occupazione alla stregua di un "gioco a somma zero" questo paese non tornerà mai a crescere. Non si può pensare che il numero di occupati è fisso e che l'occupazione dei giovani è solo il risultato di un banale "turnover".

L'occupazione aumenta se si creano nuove opportunità di impresa e di investimento. E questo dipende in gran parte da altro tipo di interventi. Quelli che in Italia non si riesce mai a fare. Che dire, per esempio, se invece di inventarsi l'ennesimo "scivolo pubblico", tagliassimo in misura consistente la spesa corrente e diminuissimo il carico fiscale?

È amaro constatare che, troppo spesso, solo le scelte in emergenza hanno saputo correggere la rotta del nostro paese e sottrarlo alla deriva della politica. Incapace di assumere, quando serve, le decisioni necessarie e difficili.

Diciamoci la verità. Da noi, riforme incisive ed efficaci si ottengono solo se imposte da vincoli esterni ineludibili, o se riescono a passare "in sordina". Preso atto di ciò, credo che la riforma delle pensioni fatta con la legge Fornero sia preziosa per il solo fatto di essere stata concepita in una situazione di emergenza. Ditemi pure che sono pessimista. Ma penso che le ragioni ordinarie della politica, armate anche delle migliori intenzioni, non potranno che peggiorare la situazione.

Per chiudere, penso che quel brivido freddo, oggi, dovrebbe attraversare la schiena di tutti quelli che, come me, sono entrati nel mercato del lavoro in prossimità del 1995 o dopo. Ma anche su questo sono pessimista. Non credo che succederà.