Secondo le stime del Documento di Economia e Finanze, il disavanzo pubblico "tendenziale" del 2015 (vale a dire la differenza tra le spese e le entrate dello Stato che si realizzerebbe in assenza di qualsivoglia intervento di correzione dei conti pubblici) sarebbe al 2,5 per cento del Pil. Il governo decide tuttavia di allargare leggermente le maglie dei conti pubblici e portarlo programmaticamente al 2,6 per cento: si concede cioè un aumento della differenza tra spese e entrate di circa 1,6 miliardi di euro. Per evitare di cadere vittima del dibattito fiabesco che si svilupperà nelle prossime settimane (pre-elettorali, peraltro), proviamo a fissare alcuni paletti nella mente dei lettori.

tesoro

Primo. Una delle urgenti riforme di cui l'Italia ha bisogno è l'iniezione di una massiccia dose di serietà nel suo dibattito politico. Non esistono tesoretti magici, non spuntano fantomatici #BonusDef dalle pieghe dei documenti finanziari. Nel mondo reale, esistono scelte di politica fiscale e di bilancio e nessuna di queste è gratuita o priva di conseguenze. I tesoretti esistono solo nelle isole deserte scoperte casualmente da pirati e naufraghi, oppure nei videogiochi e nei giochi di ruolo.

Secondo. Il DEF contiene stime, non verità rilevate, ed ogni stima è solo una ipotesi di lavoro, come scrive Phastidio. La previsione di crescita del Pil è considerata prudenziale da tutti gli osservatori, ma le incognite sulla capacità del governo di disinnescare le pericolose clausole di salvaguardia da 16 miliardi di euro (cioè l'aumento automatico delle imposte che, salvo interventi, si produrrà dal primo gennaio 2016) dovrebbero suggerire a Renzi e Padoan di non vendersi alcun tesoretto, ma di tenerlo stretto per la bisogna.

Terzo. Con un debito pubblico così elevato, è proprio necessario peggiorare il deficit tendenziale? Nelle previsioni governative, il rapporto tra debito e PIL crescerà nel 2015 dal 132,1 per cento del Pil al 132,5 per cento, per poi scendere nel biennio successivo a 130,9 e poi a 127,4 per cento, anche grazie al contributo delle privatizzazioni. E' vero che 1,6 miliardi sono una goccia nel mare del debito, ma il mare è in fondo fatto dalla somma di molte gocce.

Quarto. Pur volendo credere che le stime si realizzeranno alla virgola e che, in fondo, possiamo consentirci di distogliere quella goccia da 1,6 miliardi di euro dal mare del debito pubblico, c'è da chiedersi: come intende il governo impiegare quelle risorse? Le possibilità sono tre: l'aumento delle spese, la riduzione delle entrate o una combinazione delle due cose. E allora la questione diventa: impegnati come siamo in una doverosa e opportuna ricognizione e razionalizzazione dell'abnorme spesa pubblica, ha senso fare come Penelope, aumentare nottetempo quella spesa che di giorno proviamo a tagliare? Se c'è (e c'è senza dubbio, specie sul fronte degli investimenti infrastrutturali) qualche intervento di spesa da valorizzare e irrobustire, è buona regola che ciò avvenga attraverso una contestuale riduzione di altre spese improduttive, non con il maggior deficit.

Quinto. Cosa diversa è l'eventuale decisione di destinare quello 0,1 per cento di deficit alla riduzione delle entrate, come misura di stimolo all'economia. Ma l'esperienza insegna che i tagli di tasse sono efficaci solo allorquando sono considerati stabili, robusti e inequivocabili dagli attori economici, siano essi produttori o consumatori. E non sarebbe certo con 1,6 miliardi di euro che si produce la scossa per l'economia.

@piercamillo