Esercito comune europeo, istruzioni per l'uso
Istituzioni ed economia
Partendo dalla constatazione che "in politica estera, (noi Europei) non sembriamo essere presi del tutto sul serio", Jean-Claude Juncker ha sottolineato, in una recente intervista al giornale tedesco Welt am Sonntag, la necessità di dotare l'Unione europea di un esercito comune.
Secondo il Presidente della Commissione europea, già solo la decisione di dotarsi di un tale strumento consentirebbe all'Unione europea di "inviare alla Russia un chiaro segnale del fatto che facciamo sul serio sulla difesa dei valori europei" e darebbe all'UE la capacità di reagire "in modo credibile" di fronte alle minacce alla pace in uno stato membro o in un stato vicino all'Unione.
Le parole usate hanno la loro importanza. Il Presidente della Commissione non parla di un esercito europeo unico che si sostituirebbe agli eserciti nazionali. Parla di un esercito comune. Non menziona da nessuna parte che tutti gli Stati Membri sarebbero tenuti a partecipare a questa impresa. Infine, precisa che questo esercito non sarebbe "in competizione" con la Nato.
Se aggiungiamo a questi tre elementi cruciali (esercito europeo comune e non unico, partecipazione dei soli stati volontari, compatibilità con la Nato) l'impossibilità a medio termine di preservare il know-how tecnologico e militare degli eserciti e delle industrie dei diversi Stati Membri, ivi compresi i più grandi, in ragione della ristrettezza dei mercati nazionali, è possibile definire uno scenario di ciò che potrebbe essere questo esercito comune europeo, nonché l'articolazione di esso da una parte con gli eserciti nazionali, dall'altra con la NATO.
Una solida base giuridica
Sulla base degli articoli 42 § 6 e 46 § 1, 2 e 3 del Trattato sull'Unione europea (TUE), gli Stati disponibili deciderebbero di varare una Cooperazione Strutturata Permanente (CSP) avente come oggetto la creazione di un esercito europeo comune. Nell'ipotesi - peraltro politicamente carica di pesanti conseguenze - in cui, come il Trattato consente, un Paese membro dell'Unione opponesse un veto a questa iniziativa, gli stati volontari potrebbero decidere di organizzarsi in un primo tempo al di fuori del Trattato, sul modello degli stati che organizzarono, nel quadro del Trattato di Schengen, la libera circolazione delle persone fra i Paesi partecipanti.
Quali finalità?
Questo esercito comune avrebbe come prima finalità quella di contribuire alla preservazione della sicurezza e dell'integrità territoriale degli stati partecipanti. Sarebbe anche abilitato all'attuazione di missioni umanitarie, di mantenimento o di ristabilimento della pace, e di evacuazione di cittadini dell'Unione. Al fine di poter garantire un dispiegamento permanente, il primo nucleo dell'esercito comune sarebbe composto di tre gruppi aero-navali, che integrerebbero i due Mistral inizialmente destinati alla Russia, e tre divisioni di intervento rapido.
Un'organizzazione politico-istituzionale rigorosamente "comunitaria"
Il Presidente della Commissione avrebbe la responsabilità politica dell'organizzazione e del funzionamento dell'esercito europeo. A questo fine, egli nominerebbe un Commissario.
Gli orientamenti strategici sarebbero sottoposti alla doppia ratifica del Consiglio dei Ministri degli Esteri e del Parlamento europeo. Le misure proposte sarebbero ritenute adottate se ricevessero in seno al Consiglio dei Ministri il consenso di almeno il 55 % degli stati partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente, rappresentanti il 65 % della popolazione degli stati, e se raccogliessero il consenso della maggioranza dei parlamentari europei degli stati partecipanti alla CSP.
Il Presidente della Commissione sottoporrebbe le decisioni di ingaggio dell'esercito europeo ad un Alto Consiglio di Sicurezza europeo (secondo la definizione di Pierre De Boissieu), composto dai Capi di stato e di governo dei Paesi partecipanti alla CSP. Quest'ultimo funzionerebbe a maggioranza qualificata.
Soldati europei
Il personale militare e civile dell'Esercito Europeo comune avrebbe lo statuto di agente comunitario. Lo stipendio del personale civile e militare equivarrebbe alla media, a competenze e responsabilità equivalenti, delle cinque scale salariali più alte fra i Paesi partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente (CSP). Come per la Commissione europea, il personale dell'Esercito europeo comune sarebbe ripartito fra tutti gli stati partecipanti alla CSP proporzionalmente alle loro rispettive popolazioni.
L'Esercito europeo comune sarebbe dotato di un proprio Stato maggiore la cui sede sarebbe stabilita a Bruxelles. I membri dello Stato Maggiore sarebbero nominati dal Presidente della Commissione su proposta del Commissario responsabile della CSP. La lingua di lavoro e di comunicazione dell'Esercito europeo sarebbe l'inglese. Gli ufficiali, i sottufficiali, i soldati e il personale civile presterebbero giuramento di fronte al Presidente della Commissione e/o al Commissario responsabile della CSP.
L'Esercito europeo comune avrebbe una catena di comando indipendente. Organizzerebbe autonomamente le proprie scuole militari (navali, terrestri e aeree). Sarebbe dotato di un proprio servizio di intelligence (informazione e contro-spionaggio). Verrebbero stabiliti dei meccanismi di stretta collaborazione, in questo ambito, con gli analoghi servizi degli stati membri partecipanti alla CSP.
Le basi navali, terrestri e aeree dell'Esercito europeo sarebbero distribuite sulla base di criteri strategici e tenendo conto degli squilibri tra i Paesi partecipanti in materia di industria degli armamenti. In quest'ottica, le prime basi navali potrebbero essere stabilite in Polonia, in Bulgaria e in Portogallo, le basi terrestri in Romania, in Spagna e nei Paesi baltici.
La quota-parte iniziale degli stati partecipanti alla CSP sarebbe fissata al 0,30 % del PIL, questa quota-parte potrebbe essere contabilizzata negli impegni di spesa di questi stati nei confronti della Nato.
Piena compatibilità con la Nato
L'Esercito comune dell'Unione sarebbe dotato di uno status speciale di "forza di riserva" in seno alla Nato. Diventerebbe parte a tutti gli effetti delle forze della Nato e si sottoporrebbe all'autorità diretta dell'Alto Comando alleato solo in caso di ricorso all'articolo 5 (minaccia all'integrità di uno o più stati membri della Nato). Al di fuori di questo caso, sarebbe al solo servizio dei cittadini e degli stati dei Paesi che fanno parte della Cooperazione Strutturata Permanente.
Sarebbero stabiliti dei meccanismi di stretta cooperazione fra l'esercito comune europeo e gli eserciti degli stati partecipanti alla CSP. L'esercito comune favorirebbe, qualora la situazione lo richiedesse, le operazioni realizzate congiuntamente con gli eserciti nazionali degli stati partecipanti che lo auspicassero.
Un incentivo per rafforzare la cooperazione nell'industria militare
Tenendo conto sia degli investimenti realizzati nel settore militare-industriale nel corso degli ultimi settant'anni da alcuni stati membri, che della volontà di altri stati di investirvi maggiormente in futuro, i partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente incoraggerebbero i raggruppamenti tra le imprese del settore, fra l'altro privilegiando gli acquisti degli equipaggiamenti dell'esercito europeo presso le imprese che riunissero attori di diversi Paesi partecipanti. In particolare, gli stati membri si impegnerebbero a creare intorno ai gruppi Airbus e Dassault un grande gruppo europeo di aeronautica militare aperto alla partecipazione di altri stati membri (o imprese di questi stati). Allo stesso modo, nel settore della costruzione navale, le imprese sarebbero incoraggiate a raggruppare le loro attività militari in tre o quattro filiali comuni.
Antidoto alla disintegrazione europea
In Europa, numerosi sono quelli che non vogliono ancora riconoscere il cambiamento di paradigma strategico provocato dall'annessione della Crimea e dall'invasione e occupazione di una parte del Donbass da parte delle forze russe e filo-russe. Fra i 28, una maggioranza di stati ritiene ancora che un ritorno al business as usual con l'attuale regime russo sia possibile; alcuni stati, fra cui la Spagna, richiedono perfino la cessazione delle sanzioni. In questa fase, solo una minoranza di stati, alcuni fra i quali "in prima linea", ha una percezione chiara della gravità di ciò che accade oggi in Ucraina, sia per l'Ucraina stessa sia per la coesione presente e futura dell'Unione europea.
Se vi aggiungiamo le tragedie siriana, irachena e libica, e le differenze di percezione di queste nei vari Paesi dell'Unione, diventa manifesta l'urgenza di creare dei meccanismi, dei luoghi e degli obiettivi che "obblighino" gli stati a pensare la loro sicurezza non più solo a livello nazionale ma a un doppio livello, nazionale ed europeo. In un tale contesto, l'iniziativa del Presidente della Commissione europea ha, fra gli altri meriti, quello, indiscutibile, di proporre all'Unione uno strumento che, per via della sua sola esistenza, le consentirebbe di dotarsi di un fattore di coesione fondamentale nei tempi agitati che stiamo vivendo.