Quando si parla di pensioni non c'è proverbio che si adatti meglio alla classe politica italiana dell'adagio che recita "il lupo perde il pelo ma non il vizio". A vestire i panni del lupo in questo caso è Giuliano Poletti, l'attuale Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali che, facendo eco all'intervista rilasciata dal presidente dell'INPS Tito Boeri, ha dichiarato la volontà di affrontare il nodo della previdenza nella prossima legge di stabilità.

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Di fronte a questi annunci dovremmo dormire sonni tranquilli: in un Paese in cui la spesa per le pensioni ha raggiunto il 15,4% (contro una media OCSE del 7,8%), l'unica riforma che ci si potrebbe aspettare dovrebbe andare nella direzione dell'equità e della sostenibilità. Proprio quella strada che avevamo imboccato con la riforma battezzata da Elsa Fornero, dopo che il rapporto annuale "Pensions at a glance" emesso dall'OCSE nel 2011 poneva forti dubbi sulla sostenibilità dell'intero sistema previdenziale italiano, caratterizzato da un pericoloso mix di bassa età di uscita dal mercato del lavoro e incremento dell'aspettativa di vita. Un provvedimento che, oltre a ripristinare criteri di equità intergenerazionale, permetterà un risparmio di denaro pubblico quantificabile in circa 80 miliardi di euro.

Che l'Italia sia abituata ad ignorare i giusti moniti internazionali, spesso classificandoli come inopportune intrusioni, non è una novità. L'impianto su cui pare verterà la riforma punta sull'introduzione di una finestra di flessibilità tra i 62 e i 70 anni, come proposto dall'ex ministro Cesare Damiano - tanto per capirci uno che, alla stregua di Stefano Fassina, è convinto che l'Italia viva una pericolosa spirale ultraliberista. 

Viene subito spontaneo chiedersi: chi paga? La prima risposta è tanto scontata quanto sconvolgente: gli stessi pensionati, che accetterebbero una (ad oggi non quantificabile) riduzione degli assegni. Poco conta che il 44% dei pensionati percepisca meno di mille euro al mese e che la categoria abbia perso buona parte del proprio potere d'acquisto. Poveri ma felici, quindi? In un Paese in cui i consumi sono crollati e la deflazione rappresenta un rischio reale, la contrazione dei redditi sembra una perfetta strategia suicida.

Un'altra soluzione sul tavolo, già allo studio del governo Letta, è quella del prestito pensionistico, un'integrazione elargita a chi entra in pensione in anticipo, che verrebbe poi restituita a rate una volta maturati i requisiti per la quiescenza. Ovviamente ad anticipare i costi di questa perversa operazione ci penserebbe Mamma Stato.

Di fronte a queste ipotesi regressive di riforma sembra doveroso iniziare a studiare un modello alternativo e credibile del sistema previdenziale, provando ad uscire per una volta dal seminato ideologico nel quale decenni di criptostatalismo - mirabile neologismo coniato da Stefano Micossi – ci hanno rinchiuso.

Tanto per cominciare, sarebbe utile far capire ai più che in una società liberale ritiene sia un diritto del lavoratore decidere se e quando andare in pensione, ma in un sistema tale non è pensabile che sia lo Stato ad amministrare i risparmi di tutti. Lo spiega bene José Piñera, già ministro del lavoro in Cile, autore della più importante riforma del sistema previdenziale di tutti i tempi basata sulla transizione dal modello a ripartizione a quello a capitalizzazione. Grazie a questo provvedimento epocale i lavoratori cileni gestiscono in maniera autonoma e responsabile i risparmi, destinandoli a fondi privati che restituiscono loro ottimi tassi di rendimento.

Secondariamente un riforma in tal senso, o quantomeno un sistema misto sul modello inglese, come dimostrano diversi studi scientifici tra cui quelli elaborati da Fornero e Castellino, permetterebbe un taglio dei contributi previdenziali e perciò del cuneo fiscale in grado di incidere sensibilmente sull'occupazione.

Infine sarebbe opportuno incentivare una cultura del lavoro, facendo capire agli italiani che rimanere al lavoro in età avanzata può avere dei vantaggi. Da questo punto di vista lo Stato può fare la sua parte, prendendo spunto dai Paesi più avanzati in cui l'active ageing fa parte integrante delle politiche attive del lavoro.

Aprire un dibattito oggi sulle pensioni non può significare l'accettazione passiva di una controriforma statalista. Non possiamo permettercelo perché ne va del nostro futuro. È possibile invece che diventi l'occasione per mettere in discussione un sistema che non aiuta nessuno, né i pensionati né i lavoratori. A questo proposito è quanto mai opportuno e incoraggiante citare proprio Jose Piñera, che amava spronare i suoi collaboratori ripetendo loro che "non c'è niente di più soddisfacente che riuscire a fare quello che tutti ritengono impossibile".