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La visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia a fine marzo rappresenta la conferma dell'attenzione della Cina verso il nostro paese. In una fase di rallentamento degli investimenti cinesi in Europa, si tratta comunque di un segnale incoraggiante.

Le notizie sugli accordi che verranno firmati durante la visita sono contrastanti, ma uno degli obiettivi dichiarati del governo italiano è quello di capitalizzare sulla presenza italiana al Belt and Road Summit del 2017 e concludere con la Cina un accordo per la partecipazione ufficiale dell'Italia a questo enorme progetto, noto come Belt and Road Initiative, o "nuova via della seta".

Come è noto, l'Italia - così come molti paesi europei - non è considerata dalla Cina un paese partner della Belt and Road Initiative a livello ufficiale. Per far ciò è necessario firmare un accordo specifico, che ha preso nomi diversi a seconda del paese coinvolto, ma di solito consiste in un Memorandum of Understanding (MOU). Stando alle notizie che trapelano pare che proprio di tale Mou si stia parlando.

Che cosa prevede questo MOU? Non è facile rispondere, anche perché le bozze del testo non sono state rese note. Inoltre, gran parte dei documenti firmati finora dalla Cina con un centinaio di paesi non sono stati resi pubblici, tranne quelli firmati dallo stato di Victoria in Australia e dalla Lettonia.

In questi due casi gli accordi spaziano da concetti come "coordinamento nelle politiche" a "connettività dei trasporti" e sviluppo congiunto di alcune aree, la "rimozione di ostacoli al commercio" (questo però da noi è di competenza esclusiva UE), "l'integrazione finanziaria", fino alla "people to people connectivity", cioè la promozione dei contatti tra persone anche attraverso il turismo.

A questi propositi si aggiungono la "creazione di parchi industriali in joint venture" ed altri progetti di investimento nella logistica, così come "progetti comuni di ricerca".

Tutto abbastanza generico a prima vista, specie perché l'MOU non ha valore legale vincolante. Ma il significato politico ovviamente è ben più importante: si accettano le modalità con cui la Belt and Road Initiative viene portata avanti e si stabilisce un "coordinamento" per consentirne l'implementazione anche nel paese in questione, cioè in Italia.

Tutto bene? Si e no.

Per cominciare, gli USA hanno espresso da tempo i loro dubbi sul progetto Belt and Road Initiative, visto come un'offensiva politico-economica ai loro danni e quindi non sarebbero contenti di un endorsement così spiccato da parte dell'Italia. Poco importa, potrebbe pensare qualche europeista: è giusto che prima o poi l’Europa si affranchi dalla politica estera USA verso l'Asia e ne adotti una propria, sopratutto tenendo conto che il continente euroasiatico è destinato a convergere economicamente.

Ma è proprio qui il problema: l'elenco dei paesi membri dell'Unione Europea che sono entrati a far parte ufficiale della Belt and Road Initiative è lungo, ma non comprende Germania, Francia, Spagna, Olanda, Belgio ed altri paesi membri dell' Europa occidentale e settentrionale. Nemmeno il Regno Unito, che ne sta uscendo. È possibile che questi paesi abbiano ceduto a pressioni americane, ma anche che abbiano valutato non opportuna la firma di un MOU in una situazione in cui le modalità attraverso le quali il progetto Belt and Road Initiative viene portato avanti, e che prevedono pochissimi spazi per le aziende europee, non sono cambiate nonostante varie osservazioni fatte alla Cina sia dalla UE che dai maggiori paesi membri. La stessa Camera di Commercio della UE in Cina, voce delle aziende europee operanti nel paese ha suggerito che i vari MOU firmati tra i vari paesi europei e la Cina adottino perlomeno un contenuto identico per evitare competizione al ribasso tra i paesi membri. Cosa che finora non è avvenuta.

L'Italia sarebbe però il primo dei paesi del G7 e la più grande economia in Europa a firmare un accordo del genere con la Cina. Un passo che andrebbe considerato con estrema attenzione soprattutto per il significato politico che assumerebbe, proprio in un momento in cui l'Italia è presa tra la tentazione di un allineamento in politica estera ed europea con i paesi di Visegrad (tutti firmatari dell'MOU) e la realtà di legami storici politici ed economici più forti con l'Europa occidentale e con gli USA.

E quindi un passo che andrebbe fatto solo se ci sono immediati e concreti benefici per l'economia italiana. Questi a mio avviso possono derivare, più che da investimenti nelle nostre infrastrutture, da una apertura reale alle aziende italiane nel settore degli appalti pubblici cinesi e delle forniture in paesi terzi per progetti Belt and Road Initiative.

Non è cosa semplice: l'Unione Europea sta negoziando da cinque anni un accordo con la Cina per l'apertura di un mercato notoriamente difficile per gli investitori stranieri e sta avendo non poche difficoltà a portarlo a conclusione. Ma ha fatto dei passi avanti. In questo scenario, non è facile per l'Italia spuntare condizioni di particolare favore per le nostre aziende, trattando da sola.