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Negli ultimi decenni, l'Europa e gli USA si sono dotati di regole per il funzionamento delle loro economie tese ad eliminare le storture o inefficienze che possono verificarsi in un'economia di mercato.

La disciplina antitrust e in particolare le norme sulle concentrazioni sono parte di questo bagaglio che si è poi perfezionato con il passare degli anni, orientato ad evitare che un'azienda assuma una posizione dominante in un certo mercato tale da ledere la libera concorrenza, con impatto negativo quindi sugli utilizzatori dei prodotti o dei servizi forniti da quell'azienda.

La Commissione Europea in particolare negli ultimi 20 anni si è distinta per un'applicazione rigorosa di questi principi, bloccando anche operazioni che pure l'antitrust americano, guidato da regole parzialmente diverse, aveva autorizzato. Le decisioni della Commissione sulla definizione del "mercato" rilevante ai fini dell'analisi hanno poi fatto scuola e vengono studiate in tutto il mondo.

La domanda che ci dobbiamo porre oggi però è se queste regole, pensate in un mondo in cui UE e USA costituivano il 70% percento del PIL mondiale, sono ancora adatte a quello contemporaneo, un mondo dove esistono altri paesi che si sono dotati solo da poco di una disciplina anti-trust (se ne hanno una del tutto) e che applicano principi diversi.

Il caso Siemens-Alstom in particolare ci deve far riflettere. Alstom, come si sa, è un grande conglomerato francese, già abbastanza indebolito da varie multe e penali pagate in USA per violazione del regime sanzionatorio americano verso alcuni "paesi-canaglia". Alstom è nota anche per aver elaborato la tecnologia che è alla base dei TGV francesi e quindi dell'alta velocità in molti paesi. Siemens non è da meno: è uno dei leader mondiali nella fornitura di treni ed è conosciuta anche per l'apporto tecnologico al treno a lievitazione magnetica.

Siemens e Alstom non sono gli unici player in questo mercato: ci sono i giapponesi di Hitachi (che hanno acquisito di recente Ansaldo Breda), i canadesi di Bombardier e, in maniera crescente, i cinesi della CRRC (conosciuta più comunemente come China Rolling Stock). La Cina, come si sa, ha la rete ad alta velocità più fitta e ed estesa al mondo, un fiore all'occhiello e una grande contribuzione anche alla riduzione delle emissioni di CO2.

Dopo aver avviato l'alta velocità a inizio di questo secolo con il supporto proprio di Siemens e Alstom, le due aziende più importanti del paese (CSR Corporation e China CNR) hanno però sviluppato una propria tecnologia per i motori e carrozze dei treni ad alta velocità. Da qualche anno, forti appunto dell'esperienza nel paese, queste aziende si sono avventurate anche sui mercati mondiali, conquistandone non pochi. Non solo Africa o America Latina, ma anche, in maniera crescente, America ed Europa, soprattutto quella orientale.

Nel 2015, per rafforzare le due società, il governo cinese decide di fonderle in un'operazione da 26 miliardi. Né la Commissione UE né l'antitrust americano analizzarono la concentrazione in quanto nel 2015 il fatturato e quote di mercato delle due aziende in UE e USA non superavano le soglie di guardia. La decisione passa quindi al vaglio dell'antitrust cinese che la promuove in virtù anche dell'eccezione contenuta nella disciplina cinese relativa alla fusione di aziende di proprietà statale. Entrambi i gruppi infatti erano (e restano) di proprietà pubblica.

Come reazione a questa fusione ed alle crescenti quote di mercato acquisite dal gigante CRRC (nel 2017 le sue vendite superavano in volume quelle degli altri 3 maggiori operatori in aggregato), Alstom e Siemens propongono di combinare le loro forze nel settore treni. Decisione purtroppo che sembra non incontrare il favore dell'antitrust UE, guidato dalla liberale danese Margrethe Vestager, che si è pronunciata negativamente nei giorni scorsi. Nonostante gli impegni su varie dismissioni presi da entrambi i gruppi, evidentemente la Commissione non è persuasa dalla motivazione principale dietro la fusione: creare un player in grado di competere con i cinesi. La reazione fortemente negativa da Germania (dove anche i sindacati si erano espressi a favore) e Francia non si è fatta attendere, ma il progetto sembra sempre più in dubbio.

La decisione sul caso Siemens-Alstom a mio avviso pone l'Europa davanti a un bivio: continuare pedissequamente ad applicare le regole che ci siamo dotati senza considerare la necessità dei nostri gruppi di rafforzarsi e competere con nuovi giganti mondiali, oppure renderle più flessibili quando esistono comprovate esigenze di rafforzamento di gruppi europei esposti alla concorrenza di aziende provenienti da paesi dove questa flessibilità esiste (eccome)?

Sebbene la verità sia sempre nel mezzo, in questi casi è difficile avere la botte piena (continuare ad applicare le nostre regole antitrust guardando al solo effetto sul mercato europeo) e la moglie ubriaca (libertà per player non europei di vendere merci tecnologie e servizi non solo in UE, ma soprattutto in altre aree del mondo a forte crescita). Se non vogliamo fare la fine dei capponi di Renzo che litigano sui migranti, mentre la politica economica viene gestita con il pilota automatico, questo tema dovrà essere in cima all'agenda del prossimo Parlamento Europeo e della prossima Commissione.