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È notizia di questi mesi che un Fondo Comune d’Investimenti con sede negli USA ha acquisito i diritti di proprietà della compagnia privata ferroviaria NTV Italo. Una azienda avente soci azionisti italiani, e capitali internazionali, nata in conseguenza del recepimento, da parte italiana, delle norme comunitarie che hanno consentito la liberalizzazione dal monopolio delle linee ferroviarie ad Alta Velocità. Una innovazione che ha reso in breve tempo l’Italia leader in questo campo in Europa dove, al contrario, le percorrenze a lungo raggio rimangono a tutt’oggi nella quasi totalità monopolio delle compagnie ferroviarie nazionali.

L’ingresso nel settore trasporti ferroviari di un concorrente che ha di fatto tolto il monopolio a Trenitalia ha consentito nel breve di abbassare i prezzi, migliorare la qualità del servizio e nel contempo offerto ai viaggiatori una possibile seconda possibilità riferita ad orari e destinazioni. Il rinnovato recente interesse a finanziare con capitali stranieri le nostre aziende, grazie ai fondi comuni d’investimento internazionali, è la dimostrazione che quando in Italia si mettono gli operatori economici nelle condizioni di competere con regole eque e certe senza vincoli pregiudiziali o corporativi, i risultati arrivano sia a beneficio degli investitori, che ovviamente non sono enti caritatevoli, ma anche per i viaggiatori che pagano il biglietto. Incrociando i dati di Ntv e Trenitalia in sette anni di concorrenza il mercato di utenza è quasi raddoppiato con aumento medio del 10% all’anno.

Questo è successo per l’Alta Velocità a lungo raggio, ma un modello di sviluppo simile potrebbe funzionare anche per i trasporti regionali a carattere pendolare? E sarebbe possibile applicarlo laddove vi è una massa di persone che prendono il treno quotidianamente sempre in una ristretta fascia di orario riducendo in modo drastico le opzioni ed andando quindi a costituire quello che in economia viene chiamato “monopolio naturale”? Sono domande più che ovvie e legittime alle quali tenteremo di dare risposta fra poche righe.

Diamo prima uno sguardo alla situazione attuale. Ad oggi, in Lombardia, il servizio ferroviario è gestito da Trenord, società Srl partecipata 50/50 tra Ferrovie Nord Spa e Trenitalia. Dal punto di vista giuridico è di fatto una società privata plurima con capitali pubblici. Ma cosa avviene in pratica? Quando Trenord non rispetta i suoi obblighi contrattuali si comporta da azienda pubblica scaricando le responsabilità sulla politica che non garantirebbe, a suo dire, le risorse mentre quando le si chiede di migliorare il servizio o aumentare le corse, con la cinica freddezza di un’azienda privata, risponde che l’offerta (treni) corrisponde alla domanda (pendolari) e che aumentare l’offerta produrrebbe una perdita economica. Insomma, per dirla in modo semplice: Trenord è pubblica e privata al tempo stesso a seconda delle situazioni e di come alla dirigenza fa più comodo atteggiarsi.

Nonostante i mille ostacoli messi dal Sindaco Virginia Raggi, a Roma dopo i disastri palesati dell’azienda municipale dei trasporti, l’ATAC, su iniziativa del Partito Radicale si terrà il referendum per la liberalizzazione del trasporto pubblico cittadino. Se passerà tale iniziativa e verranno indette gare d’appalto serie e trasparenti, a ogni scadenza contrattuale si dovrà indire una nuova gara e l’azienda che offrirà a minor costo pari servizi otterrà il nuovo appalto. Se l’azienda vincente non rispetterà il contratto dovrà risarcisce per i danni procurati e ci si rivolgerà alla concorrenza.

Facile in teoria, ma purtroppo in Italia non abbiamo maturato esperienze positive con le gare di appalto pubbliche, del resto le numerose vicende giudiziarie sono lì a dimostrarlo. Non possiamo neanche però rassegnarci dinanzi a quanto finora non ha funzionato ritenendo l’illecito e la corruzione problemi insormontabili. Semplicemente dobbiamo impegnarci maggiormente affinché le cose cambino. Quando si parla di liberalizzazioni e/o privatizzazioni (non sono necessariamente la stessa cosa) le prime immagini che vengono alla mente sono gli infidi finanzieri di Wall Street, la signora Thatcher e i film di Ken Loch sui minatori inglesi. E’ interessante osservare alcune esperienze nel resto d’Europa a proposito di liberalizzazioni del servizio pubblico ferroviario.

Giusto per non deludere i pregiudizi di molti partiamo dall’esempio più controverso e inizialmente mal riuscito: la privatizzazione delle ferrovie britanniche ad opera della Lady di ferro. I conservatori inglesi fecero il grande errore di prendere la British Railways così com’era e privatizzarla nella sua interezza. Non fu liberalizzazione, in questo caso, e infatti non venne mantenuta in vita una impresa pubblica con cui i privati avrebbero dovuto confrontarsi e dimostrare maggiore efficienza facendogli leale concorrenza. Una situazione molto diversa da come deve oggi agire Italo nei confronti di Trenitalia.

Questo veloce ma solo apparente processo di modernizzazione, nei primi anni 90, creò una sorta di far-west delle compagnie ferroviarie e confusione nell’utenza. L’errore più grande però fu di privatizzare oltre ai anche tutta la logistica comprendente le infrastrutture, i binari e le stazioni. Essendo le infrastrutture, per loro natura, a basso rendimento economico, le imprese che ne ebbero il controllo entrarono ben presto in crisi e fu palese il contrasto, divenuto ben presto conflitto di interesse, tra azienda detentrice dei binari e il diritto di accesso dei treni alla linea medesima. Sorsero dubbi ed interrogativi anche sul livello di sicurezza delle infrastrutture. All’inizio degli anni 2000 dovette intervenire il governo laburista di Tony Blair che per prima cosa si preoccupò di nazionalizzare nuovamente le infrastrutture, mise ordine nei servizi ferroviari, diede loro una nuova e più moderna regolamentazione accertandosi che fosse allettante anche per le compagnie private favorendone gli investimenti.

Oggi le ferrovie inglesi sono strutturate su due livelli di competenza. Il primo: le infrastrutture come ferrovie e binari, di proprietà dello stato. Il secondo: i treni, affidati a compagnie private che pagano allo stato il diritto alla circolazione. Dall’utile di quest’ultime si finanzia il primo livello, ovvero le infrastrutture ed i binari che vengono considerati servizi basilari “no profit”. I treni con percorrenze a lungo raggio sono in genere in libera concorrenza mentre i servizi regionali sono affidati, con gare di appalto a scadenza, a una sola compagnia per ogni area geografica.

Nell’Europa continentale, salvo poche eccezioni, la liberalizzazione del servizio ferroviario sta procedendo molto lentamente nonostante le Direttive Europee imporrebbero a tutti i paesi dell’Unione di liberalizzare i servizi ferroviari. Oltre al Regno Unito, ad aver liberalizzato alcuni servizi ferroviari ci sono la Svezia per la medao e lunga distanza, la Danimarca e la Germania per i treni locali e l’Italia per quanto riguarda l’Alta Velocità. Vediamo un attimo la loro situazione. La Germania ha affidato il processo di liberalizzazione ai Lander, l’equivalente delle nostre regioni. Fino ad ora sono stati messi a gara circa 200 milioni di treno/chilometro, la maggior parte sono aziende o operatori diversi da Deutsche Bahn, l’equivalente delle nostre FS, l’ex monopolista nazionale. Il noto operatore autobus Flixbus ha lanciato servizi ferroviari analoghi e simili a quelli operati su gomma, con biglietti a partire da 10 euro per le lunghe percorrenze. La Svezia ha liberalizzato alcune tratte, la Danimarca alcuni servizi regionali. Emmanuel Macron in Francia sta provando tra mille proteste e veti dei sindacati ad accennare ad una timida liberalizzazione, cosa ardua in un paese tra i più statalisti e centralisti del mondo occidentale.

Dato che in questi paesi il processo è iniziato in tempi molto recenti, bisognerà ritornare all’esempio britannico per capire, sul lungo termine, gli effetti della liberalizzazione del servizio ferroviario, qui infatti la riforma ferroviaria ha ormai più di vent’anni. Malgrado ci siano molti soggetti critici che annotano che in questi anni molte compagnie sono entrate in crisi e lo Stato è dovuto intervenire, dopo le manovre correttive prima esposte, stando alle statistiche ufficiali e di molti altri commentatori, il bilancio è molto positivo. Anche un’indagine della Commissione Europea che confronta i diversi servizi ferroviari ha messo l’esempio britannico al primo posto di soddisfazione dell’utenza. Le ferrovie britanniche risultano anche le più sicure d’Europa, sempre stando ai dati ufficiali.

Dall’inizio della riforma la quota di passeggeri fruitori del servizio ferroviario ad oggi è quasi raddoppiata. Quando nei primi anni 90 la riforma ebbe inizio il trasporto passeggeri era in una fase di forte declino. Si era infatti passati da 1,1 miliardi di passeggeri nel 1957 a un minimo di 630 milioni nel 1982 per poi evolversi in modo altalenante. Dai 735 milioni raggiunto nel biennio 1994-95, la domanda è progressivamente cresciuta a 1,3 miliardi nell’ultimo biennio con un aumento complessivo di oltre il 70% tornando a superare i numeri del 1953. La liberalizzazione ha portato a una crescita complessiva dei pendolari/chilometro dell’85% e media annua del +3,9%. Nello stesso periodo la domanda in Italia è cresciuta di meno del 10% in regime di monopolio pubblico. Sul fronte economico il meccanismo della liberalizzazione ha portato l’ammontare del denaro pagato con la fiscalità generale a soli 990 milioni di sterline nel 2000. Bisogna tener conto che si partiva da una situazione in cui il sistema pubblico finanziava il sistema ferroviario per più di 2 miliardi di sterline. Come ricordato sopra, nel Regno Unito chi ottiene una concessione per i servizi ferroviari pagare per l’utilizzo della rete. Nel 2009 lo stato britannico ha così incassato 380 milioni di sterline di utenze.

Soldi che in Italia potrebbero essere favorevolmente utilizzati per finanziare biglietti ridotti per studenti o per pendolari a basso reddito nell’ottica di una più equa giustizia sociale. Al contrario nel nostro paese i prezzi dei biglietti hanno continuato a lievitare senza che ne corrispondesse un reale aumento della qualità nel servizio offerto, anzi. Un risultato non proprio edificante per il nostro paese. Quindi perché non proporre anche in Regione Lombardia delle vere gare aperte a cui possano partecipare più operatori, anche internazionali, come vorrebbero le direttive europee?

Lo sappiamo, rimane il solito italico problema delle gare poco trasparenti a volte costruite su misura per i soliti noti. Da qualche parte però dovremo pur cominciare e a Roma il referendum ATAC potrebbe fare da apripista. Attenzione, in una vera gara aperta e trasparente non è detto che debba essere per forza il privato a vincere; può darsi che l’attuale azienda controllata dal pubblico risulti la più adatta e faccia l’offerta migliore. Per esempio Ferrovie dello Stato, già presente in Francia, Germania e Grecia, tramite la sua controllata Trenitalia UK ha raggiunto un accordo con National Express Group Plc che prevede l’acquisizione da parte di Trenitalia, per circa 70 milioni di sterline, della totalità delle azioni della società Nxet (National Express Essex Thameside) e gestirà i collegamenti tra la capitale inglese e Shoesburyness, sulla costa orientale nella regione del South Essex. Sempre oltre Manica FS ha gareggiato contro il magnate Richard Branson per sottrargli la prestigiosa linea Londra-Edimburgo controllata dalla Virgin.

Trenitalia è stata l'unica impresa non inglese ad avere l'abilitazione alla gara in Inghilterra. Questo vuol dire che anche le nostre imprese pubbliche, se messe in condizione di competere, possono dare ottimi risultati a livello internazionale. Il Giappone, addirittura anticipando il Regno Unito, ha seguito il percorso analogo a quello britannico per scongiurare il collasso finanziario della rete ferroviaria a fine anni 80. Peccato che in Italia i nostri gestori, senza il pungolo della onesta competizione, si adagiano ed i scarsi risultati li vediamo tutti i giorni come pendolari. Immaginatevi una gara in Lombardia; se vincesse TreNord vorrebbe dire che abbiamo già il miglior servizio ferroviario possibile. I pendolari lombardi non ne sono però così convinti, forse varrebbe la pena di provare qualcos’altro.


Bibliografia

- OECD data: passenger transport

- The Guardian How safes are Europe's railways

- ATOC's 2008 publication Billion Passenger Railway for 1830 to 2001 The UK Office of Rail Regulation (ORR), specifically Passenger journeys by sector - table for 2002 onwards.

- UK rail subsidy 1982-2014 in terms of pounds per passenger journey in 2014 prices using subsidy data from Subsidy data, Terry Gourvish's "British Rail 1974-1997: From Integration to Privatisation" and passenger numbers data from ATOC's 2008 publication Billion Passenger Railway for 1982 to 2001 and Passenger journeys by sector - table for 2002 onwards.

- ilsussidiario.net Treni: da Inghilterra e Germania gli esempi che servono al consumatore

- ilsussidiario.net Treni e poste, la lezione di Olanda e Inghilterra

- lavoce.info Ferrovie: i frutti di una liberalizzazione per caso