crollo ponte autostrada

Commentando su Facebook il crollo del cavalcavia sull'autostrada A14 nei pressi di Ancona, Giordano Masini rammentava la forte perplessità manifestata tempo addietro da Mario Monti in merito alla prospettiva di una riduzione del prelievo fiscale. I dubbi dell'ex Presidente del Consiglio erano espressi con specifico riferimento all'ambito delle infrastrutture per le quali sussisterebbe, in Europa così come negli Stati Uniti, un problema enorme di mantenimento e di adeguamento delle reti di trasporto.

Si può aggiungere che tra gli stessi sparuti fautori di una riduzione della spesa pubblica, non sono probabilmente molti coloro che auspicano un ridimensionamento del ruolo di Stato ed altri enti territoriali nel settore delle infrastrutture. Spesso si contrappone la "cattiva" spesa corrente a quella "buona" per gli investimenti. Chi, infatti, costruirebbe le infrastrutture se non ci fosse lo Stato? Se lo chiedeva più di due secoli fa, Adam Smith che considerava imprescindibile il finanziamento pubblico di quelle opere che "per quanto estremamente utili a una grande società, sono però di natura tale che il profitto non potrebbe mai rimborsarne la spesa a un individuo o a un piccolo numero di individui, sicché non ci si può aspettare che un individuo o un piccolo numero di individui possa erigerle o conservarle."

Da allora le condizioni al contorno sono però radicalmente mutate e, come vedremo, nei Paesi occidentali non vi è più alcuna necessità di ricorrere a risorse prelevate dai contribuenti per manutenere ed accrescere, ove necessario, le reti infrastrutturali. In Italia così come in tutti gli altri Paesi europei, il trasporto stradale soddisfa la quota largamente maggioritaria della domanda di trasporto: auto, moto e autobus detengono una "quota di mercato" pari all'82% della mobilità complessiva, percentuale che sale al 92% se si considerano i soli trasporti terrestri (Tabella 1). Ferrovie, tram e metropolitane coprono il restante 8%. Un quadro analogo si registra per il trasporto delle merci. In termini di quantità di prodotti trasportati, la quota di mercato della ferrovia in Italia è intorno al 10% che scende al 3% se si considerano i flussi veicolari ed a meno de 2% se, come d'uso per qualsiasi altro settore economico, si fa riferimento al fatturato (1,5 miliardi quello delle imprese ferroviarie e 93 miliardi per il trasporto su gomma).

Tabella 1 - Ripartizione modale della domanda di mobilità delle persone nella UE28

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Fonte: Eurostat

Ebbene, il carico fiscale sulla mobilità su gomma ammontava nel 2015 a poco meno di 72 miliardi, pari al 16% del totale delle entrate (Tabella 2). Se si considerano le sole tasse specifiche di settore, escludendo l'IVA sull'acquisto e sulla manutenzione dei veicoli, le risorse incamerate dallo Stato sono dell'ordine dei 55 miliardi.

Tabella 2 - Carico fiscale sulla motorizzazione in Italia [milioni €]

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Fonte: ANFIA (download PDF)

Se questo è "l'avere" pubblico, il "dare" è assai più modesto. La spesa complessiva per il trasporto su strada è risultata pari nel 2014 a 13,4 miliardi, di cui 5,8 miliardi di sussidi al trasporto collettivo su gomma. Il trasporto individuale e quello merci su gomma assorbono quindi meno di 8 miliardi di risorse pubbliche all'anno (Tabella 3). A tale ammontare deve essere sommata una parte delle spese classificate come "non attribuibili" e relative a "personale in attività di servizio, personale in quiescenza, acquisto di beni e servizi ed altri interventi" pari a 14,6 miliardi. Ipotizzando di attribuire i due terzi di tali spese alla strada, si determina un ammontare complessivo di trasferimenti di cui beneficiano auto e mezzi pesanti dell'ordine dei 20 miliardi all'anno ossia poco più di un terzo di quanto versato da automobilisti ed imprese di trasporto alle casse dello Stato.

Dunque, la parte nettamente prevalente della mobilità non solo è in grado di reggersi senza alcun contributo pubblico ma genera un elevatissimo flusso di risorse nette. Tale condizione è ormai consolidata da svariati decenni e comune a tutti i Paesi europei (ma non agli Stati Uniti). Simmetrica è la condizione delle ferrovie e degli altri impianti fissi (metropolitane e tram) che, pur soddisfacendo un decimo della domanda dell'auto, ricevono pressoché lo stesso ammontare di risorse. Si tratta anche in questo caso di un quadro che si perpetua da molti decenni: in prima approssimazione si può stimare che un quarto del debito pubblico tragga origine dai finanziamenti pubblici destinati a questo settore.

Ora domandiamoci: vi è un reale interesse collettivo che giustifichi questo approccio? Due sono le argomentazioni che più spesso sono portate a sostegno di tale indirizzo di politica dei trasporti : la riduzione dell'impatto ambientale e la "socialità". Entrambe sono in larga misura prive di fondamento.

Tabella 3 - Spesa pubblica consolidata complessiva per settori di destinazione a prezzi correnti [milioni €]

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Fonte: Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti - Anni 2014-2015

Analizziamo i due ambiti considerati più rilevanti per la sostenibilità: l'inquinamento atmosferico e le emissioni di gas serra. La qualità dell'aria nelle nostre città ha conosciuto un radicale miglioramento negli ultimi quaranta anni: questo risultato è stato raggiunto senza che vi sia stato alcun contributo apprezzabile da parte del trasporto su ferro ed è da ricondurre pressoché esclusivamente alla evoluzione tecnologica dei veicoli grazie alla quale ulteriori riduzioni dei livelli di inquinamento saranno conseguite negli anni a venire. Con riferimento alle emissioni di gas serra, in aumento fino alla recessione degli ultimi anni, non vi è alcuna possibilità di ottenere riduzioni di un qualche rilievo mantenendo o addirittura incrementando la spesa per le ferrovie. Basti un numero: nel 2015, sulla relazione Roma – Milano, la tratta ad alta velocità che presenta i livelli di traffico di gran lunga più elevati, i passeggeri che hanno scelto il treno hanno permesso il risparmio di circa 1 milione di tonnellate di CO2 che equivalgono allo 0,25% del totale delle emissioni nel nostro Paese.

Ma c'è di più: politiche di sussidio sono teoricamente giustificate solo qualora un modo di trasporto a maggior impatto non sia tassato in misura sufficiente a compensare le esternalità generate. Non è questo il caso del trasporto su gomma: come ha attestato una recente ricerca del FMI, l'attuale prelievo fiscale sui carburanti è tale per cui, in media a livello nazionale, tutte le esternalità sono già internalizzate.

Quanto alla socialità, si può far notare come solo tre pendolari su cento si rechino al lavoro con il treno: costoro sopportano una piccola parte dei costi del trasporto che risulta essere per circa tre quarti a carico dei contribuenti. Ben settantacinque solo invece coloro che si spostano, ipertassati, in auto. La scelta del modo di trasporto è assai poco correlata al reddito: la parte maggioritaria dei pendolari che usano il treno sono impiegati e studenti che si dirigono verso le aree centrali delle maggiori città, mentre categorie con redditi del tutto paragonabili, come operai e artigiani, e più in generale chi vive ed effettua spostamenti in aree periferiche e lungo percorsi “tangenziali” spesso non ha alternativa all’uso dell’auto. Si può altresì considerare che la costruzione della rete ad alta velocità è stata finanziata interamente a carico dei contribuenti ma serve una domanda molto limitata e con reddito superiore alla media (i "poveri" si spostano sulle lunghe percorrenze soprattutto in autobus): si tratta di meno di 150.000 persone al giorno, ossia meno di tre italiani su mille. Un caso classico di spesa pubblica che beneficia (molto) gruppi ristretti di persone e che viene finanziata (poco) da molti. Come previsto da Pareto nel lontano 1896: “In queste circostanze, l’esito è fuori di dubbio: gli sfruttatori avranno una vittoria schiacciante”.

Accanto alle debolissime se non inesistenti motivazioni di carattere sociale ed ambientale, un altro argomento che viene utilizzato per giustificare ingenti investimenti e sussidi per il trasporto su ferro è quello della riduzione della congestione, in particolare negli ambiti urbani. L'idea sottostante è che, realizzando o ammodernando linee ferroviarie o di metropolitana, una parte significativa di persone che oggi si servono dell'auto la abbandoneranno rendendo così possibili migliori condizioni di mobilità per coloro che continueranno a servirsene. E' anche questo un luogo comune privo di riscontro empirico. Nell'area centrale di Londra, città dotata di un'eccellente offerta di trasporti collettivi, nei primi anni '00 la velocità media di spostamento sulla rete stradale era inferiore ai 10 km/h. Potenziare i trasporti collettivi significa migliorare l'accessibilità delle aree più densamente abitate ma non ridurre, se non in misura molto contenuta, il traffico stradale. Per tornare all'Italia, si pensi ad esempio al caso della metropolitana di Torino. Un'opera realizzata nei tempi e con i costi previsti e che ha avuto un buon successo in termini di utenza ma con un impatto quasi impercettibile sul traffico del capoluogo piemontese: a godere dei benefici della nuova opera, anch'essa interamente finanziata dai contribuenti, sono stati perlopiù coloro che già in precedenza si servivano dei trasporti pubblici di superficie e che rappresentano quasi l'80% degli utenti; solo un passeggero su dieci prima si spostava in auto (Figura 1).

Figura 1 - Ripartizione degli utenti della metropolitana di Torino per mezzo utilizzato in precedenza

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Fonte: Agenzia per la Mobilità Metropolitana e Regionale

Non è dunque la scarsità di risorse destinate ai trasporti collettivi a determinare la congestione della rete stradale. La causa è semmai da ricercarsi nel "socialismo" infrastrutturale: finanziamento collettivo e utilizzo gratuito. Si immagini cosa accadrebbe se lo stesso criterio venisse applicato al sistema abitativo: immobili costruiti a carico dello Stato, accesso libero e, come unico criterio di regolazione, il livello di affollamento dei locali. La riduzione efficiente della congestione può essere conseguita, come accaduto a Londra nei primi anni '00, tramite l'introduzione di un meccanismo di "mercato" ossia di un pedaggio che segnali la scarsità dello spazio stradale; nel breve periodo questo strumento incentiva il razionamento della domanda e consente altresì di acquisire risorse per l'adeguamento dell'offerta nel medio-lungo termine. Come ebbe a dire alcuni anni fa il Presidente dell'Unione dei trasporti pubblici francesi "piuttosto che investire cifre colossali in trasporti collettivi per conquistare appena uno o due punti di quota di mercato nei confronti dell’automobile sarebbe preferibile in molti casi mandare le automobili sottoterra”.

Il settore delle infrastrutture non presenta dunque alcun problema di sostenibilità economica. Una strada molto utilizzata, non diversamente da un impianto produttivo la cui capacità si avvicina alla saturazione, genera le risorse necessarie per il suo potenziamento. Peraltro, le prospettive demografiche e, probabilmente, economiche del nostro Paese sono tali per cui nei prossimi decenni la domanda di trasporto, sensibilmente ridottasi durante la recessione, crescerà a ritmi molto più lenti rispetto al passato. La spesa pubblica di settore potrebbe essere fortemente ridotta; in parallelo si potrebbe o, meglio, dovrebbe, sia per ragioni di efficienza che di equità, diminuire il prelievo fiscale sul trasporto su gomma con la contemporanea introduzione, laddove ne ricorrano le condizioni, di sistemi di pedaggio.

Per concludere: trasporti e infrastrutture non sono (molto) diversi dagli altri ambiti di intervento della mano pubblica. Qui, come altrove, meno Stato e più mercato è la terapia più adeguata.