In principio era l'AVLP (Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici), acronimo contratto, da municipalizzata, quasi a sminuirne il ruolo.

Nata nel 1994 come autorità di monitoraggio su lavori e opere pubbliche con poteri di segnalazione al Governo e al Parlamento, fu poi riorganizzata nel 2006 con un nuovo nome e quindi un nuovo acronimo - AVCP - e competenze allargate.

Raffaele Cantone

Cambiò poco, perché mentre impazzavano inchieste (non sempre fondate) della magistratura su appalti e accordi gonfiati tra privati e PA, nessuno si è mai veramente accorto dell'esistenza dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture.

Per carità, succede anche alle altre Autorità, ma in tempi di le-ga-li-tà (scandito alla Ro-do-tà!), i presidi contro il malaffare sembrano non bastare mai e allora è meglio, secondo alcuni, moltiplicarli affinché con più controlli ci siano meno abusi. Presupposto discutibile, perché – malgrado l'indiscutibile solerzia dei controllori – l'abuso e il malaffare spesso sono incentivati e paradossalmente protetti dalla superfetazione di controlli di conformità e di labirinti procedurali.

Visto che la "controllistica" orizzontale – per non parlare del nuovo protagonismo della Corte dei Conti a sanzionare la responsabilità erariale di amministratori non solo collusi, ma disattenti – ha però dimostrato di non funzionare (la spesa pubblica non è stata resa più efficiente, né l'amministrazione, a quanto pare, più diligente e morale) si è fatto un ulteriore passo avanti, con una struttura più verticale e "universale" e investita di potere straordinari.

È sotto questa stella (una, non cinque) che dalla soppressione della precedente nasce l'Autorità Nazionale AntiCorruzione, figlia di un decreto legge su cui il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha messo fino in fondo le facce: la sua e quella di Raffaele Cantone.

Eletto all'unanimità dal Parlamento presidente dell'ANAC (finalmente un acronimo smart!), Raffaele Cantone è stato spesso citato dal segretario dal PD come ombrello a ogni corruttela. "L'illegalità cresce? C'è Cantone!" sembrava rispondere ai dubbiosi il leader rottamatore che ha giustamente individuato nella figura autorevole del magistrato anti-Casalesi uno scudo mediatico saldo e sicuro.

Ma oltre tweet, testimonial e interviste, rimane il tema di un'autorità ora diventata una sorta di pan-ministero chiamato a combattere tutti i mali della Pubblica Amministrazione italiana, senza i poteri della magistratura e creando confusioni e duplicazioni con agenzie già esistenti.

Un esempio? Il caso dei prezzi di riferimento dei farmaci, fissati dall'Anac come se fossero garze, cerotti e bende.

Gli stakeholder della sanità italiana sanno che da tempo è attesa una riforma delle tre agenzie fondamentali del settore: l'Istituto Superiore di Sanità, l'Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi sanitari regionali) e l'Aifa (l'Agenzia Italiana del Farmaco). "L'Aifa deve diventare un punto di riferimento a livello europeo che non tema il confronto con la Food and Drug Administration", ha detto in Commissione Sanità alla Camera il ministro Lorenzin.

Obiettivo auspicabile e orizzonte ambizioso, ma la realtà è che ad oggi è stata l'ANAC a pubblicare la nuova lista di prezzi "di riferimento" per 69 principi attivi prodotti da diverse aziende, a brevetto in corso e scaduto, senza specificarne i criteri di selezione. Sulla base di quali competenze ANAC riesce infatti a stabilire il prezzo di riferimento di un farmaco? E poi, davvero i farmaci in generale, senza alcuna differenza, possono essere trattati alla stregua di beni fungibili?

Il meccanismo-tagliola previsto dall'ottobre 2014 che garantisce un risparmio all'amministrazione sanitaria su tutte le forniture, anche rispetto a contratti in essere stipulati in passato, non è affatto "anticorruzione", a meno di non sostenere – ma nessuno lo fa – che tutte le gare aggiudicate a prezzo superiore a quello cosiddetto "di riferimento" siano materia da Procura. È invece un modo per realizzare un vantaggio per il pubblico a spese del privato, un modo (possiamo dire: un tantinello estorsivo?) per socializzare i risparmi e privatizzare le perdite. Uno sconto stabilito per legge, insomma, che non serve a razionalizzare la spesa sanitaria, ma a coprire i buchi fatti dalle sue irrisolte irrazionalità.

E se il fornitore non accetta la sconto? Il contratto viene annullato. E se il contratto viene annullato, il paziente quale farmaco usa? Non stiamo parlando, ovviamente, dell'aspirina, ma di prodotti che costano spesso decine di migliaia di euro, niente affatto sostituibili con un comodo ed economico "generico".

La buona politica non dovrebbe lasciare il governo di questo tema per definizione politico a un apprezzabilissimo magistrato, costringendolo (perché questa non è una decisione di Cantone, ma un obbligo di legge), a fare per via amministrativa quei tagli lineari e indifferenziati che il legislatore rifiuta di fare per via politica.

Basterebbero un'Aifa forte e una PA gestita managerialmente per affrontare il problema. Se sulla seconda capiamo che bisogna aspettare almeno una generazione, sulla prima bisogna agire presto per migliorare l'efficienza della spesa sanitaria, ma non a scapito della continuità terapeutica e dello sviluppo della ricerca sui farmaci più innovativi.