logo editorialeSul dossier delle riforme, se il Patto del Nazareno schicchiola, non si vedono altri patti all'orizzonte in grado di sostituirne o potenziarne l'afflato riformatore. Al Nazareno si era provato a tener fede all'impegno che, in questa legislatura nata storta, i partiti usciti "non vincenti" dalle urne - cioè tutti, mica solo il PD - si dessero finalmente da fare per non consegnare all'imprevisto vincitore - Grillo - ulteriori ragioni di trionfo. L'impegno, preso in primo luogo con un Napolitano costretto a risalire quasi novantenne sul Colle, era di mettere rapidamente mano a una riforma elettorale e istituzionale capace di normalizzare e modernizzare il funzionamento della democrazia italiana. Non è andata così.

Un anno e mezzo e due governi dopo siamo sicuri di una sola cosa: che Napolitano non festeggerà al Quirinale il risultato del patto di cui si era fatto garante. A giugno prossimo il Capo dello Stato compirà novant'anni e per allora non ci sarà nessuna "grande riforma" da varare con l'annunciato passaggio di consegne a un nuovo inquilino del Colle. È anche possibile, per come vanno le cose, che a giugno prossimo si sia invece reduci dall'ennesimo voto anticipato, per l'ennesima - manco a dirlo - legislatura costituente. In tal caso, è più che probabile che Napolitano abbia già fatto le valigie e lasciato il Quirinale al suo successore.

Il Patto del Nazereno scricchiola perché Berlusconi, come era prevedibile, non può regalare a Renzi una legge elettorale su misura, come quella che deriverebbe dagli "aggiustamenti" del premio di maggioranza di lista e del voto di preferenza. Ma scricchiola anche perché la legge elettorale, nella testa del capo del governo, non è più un elemento del suo disegno di riforma, ma un pezzo della sua strategia di consenso. Renzi con ogni evidenza non sta lavorando a una legge elettorale sistemica, ma a un'exit strategy che gli garantisca di esercitare quel potere di scioglimento della legislatura, che non la Costituzione ma i rapporti di forza politici oggi di fatto gli riconoscono, senza finire nella trappola del Consultellum, che rischierebbe di non dare neppure a un Pd oltre il 40% la maggioranza dei seggi alla Camera e al Senato.

Renzi non può aspettare di aggiustare l'Italicum secondo i tempi lunghi della riforma costituzionale, che nessuno sta fermando, ma che ferma sta, essendo politicamente subordinata alla legge elettorale. Per questo il premier apre tutti i forni disponibili, innanzitutto con i partiti più interessati a abbreviare la legislatura - il M5S e la Lega - o a cannibalizzare quel che resta del consenso berlusconiano. Sul piano del "gioco" è evidentemente razionale questa convergenza di interessi tra il vincente della politica (Renzi) e quelli dell'antipolitica (Grillo e Salvini). Ma l'esito sarebbe il più lontano da quello promesso nella primavera del 2013 a Napolitano e decisamente il meno "patriottico". Dalla stabilizzazione di un bipolarismo politica-antipolitica alla lunga l'Italia avrà solo danni.

@carmelopalma