logo editorialePur con tutti i suoi difetti, la riforma della Legge Finanziaria per il 2007, con cui si introdusse la possibilità di destinare il TFR alla previdenza complementare, aveva una ratio convincente: irrobustire la gamba privata della previdenza, resa in Italia zoppicante dal peso asfissiante della previdenza pubblica e della contribuzione obbligatoria.

Agli spiriti più pro-mercato non piacque la scelta di sottrarre forzosamente il TFR alle imprese con più di 50 dipendenti, facendo obbligatoriamente confluire in un fondo di tesoreria dell'INPS le risorse non destinate dai lavoratori ad un fondo pensione: il governo di fatto impose un prestito forzoso a lavoratori e imprese. Al contrario, ai lavoratori delle innumerevoli aziende con meno di 50 dipendenti si dava l'opzione tra destinare le quote mensili dei TFR a un fondo pensione o lasciarlo in azienda, per disporne quando necessario e per lasciare ossigeno e liquidità all'azienda stessa.

Ora, in linea teorica, una ulteriore "liberalizzazione" del TFR (che è un pezzo di retribuzione) rappresenterebbe un positivo aumento dell'autonomia dei lavoratori. Se Tizio preferisce avere subito i soldi in busta paga per consumare di più, mentre Caio vuole lasciare il suo TFR sul conto dell'azienda del suo datore di lavoro Sempronio, sia Tizio che Caio dovrebbe essere liberi di farlo.

Tuttavia, nessuno può nascondere gli effetti collaterali di breve e medio periodo di una siffatta modifica normativa. Il flusso annuo del TFR è al momento pari a poco più di 22 miliardi di euro. Di questi, circa 11 sono giacenti presso le imprese, 6 al Fondo tesoreria Inps e più di 5 miliardi ai fondi pensione. Siamo sicuri di non danneggiare eccessivamente le piccole e medie imprese italiane, in una fase drammatica, togliendo loro una fonte vitale di autofinanziamento? Pare che allo studio del MEF vi sia il tentativo di salvare capre e cavoli, "sbloccare" il TFR ma proteggendo comunque la liquidità delle imprese, con qualche forma di agevolazione del credito o l'intervento della sempreverde Cassa Depositi e Prestiti. In un modo o nell'altro, sarebbe una forma mascherata di ulteriore debito pubblico o, nel caso della CDP, di onere finanziario a carico dei soliti cari correntisti postali.

Oltre alle considerazioni di Amedeo Panci sull'effetto improbabile dello sblocco del TFR sui consumi, c'è da chiedersi: ma è davvero ciò di cui hanno bisogno l'economia italiana e gli italiani? La priorità nazionale è generare nuovo reddito, creare ricchezza e nuova occupazione, aumentare la produttività e le quote di mercato delle imprese italiane all'estero, attrarre investimenti stranieri, favorire la nascita di idee e di imprese innovative. Non è dando ai lavoratori ciò che è già loro – il TFR - che il paese uscirà dalla crisi. Erodere il risparmio in favore di un po' di consumo in più è un'illusione fatale: si venderà forse qualche paio di scarpe e un frigorifero (forse cinese) in più, ma non si innescherà alcun processo concreto e duraturo di crescita.

Come on, Matt: a San Francisco non avevi detto che dobbiamo pensare di più al futuro e meno al presente? Sulla riforma del lavoro, hai ragione da vendere e ti invitiamo a non arretrare di un centimetro (se puoi, avanza). C'è da aprire una nuova stagione di autentiche liberalizzazioni dei servizi. Bisogna urgentemente ridurre la pressione fiscale sulle imprese, perché solo quello può dare l'ossigeno necessario perché le aziende investano e assumano davvero (pare che Padoan stia lavorando ad un'ulteriore taglio dell'Irap: bene, bravo, bis). Ma lasciamo perdere questa bolla del TFR in busta paga, al cui confronto il bonus da 80 euro è una cosa molto seria ed efficace.

@piercamillo

renzi