Isis, la coalizione dei riluttanti e la retorica "non interventistica"
Editoriale
L'avvio delle operazioni anti-Isis anche sul territorio siriano, formalmente giustificata dalla necessità di sventare un attacco terroristico in territorio statunitense, più che una risposta alle minacce rivolte agli Usa e all'Occidente, è una necessità strategica, per così dire, "locale". L'Isis è un problema nel problema della conflagrazione dei confini e degli equilibri etnico-religiosi del medio-oriente. Ma è evidentemente il problema più urgente, non solo perché più aggressivo sul piano ideologico e militare, ma anche perché più incompatibile, dal punto di vista politico, con l'obiettivo, lontano da raggiungere, della stabilizzazione dei molti fronti di guerra che attraversano il mondo islamico. Finchè l'Isis vince, nessun altro problema può essere risolto e nessuna soluzione può essere credibilmente proposta.
Il fatto è che la risposta militare all'Isis, in Iraq come in Siria, è una sfida politica impegnativa che la coalizione alleata affronta in ordine sparso, guidata da un leader, Obama, scettico e recalcitrante, con il sostegno di paesi, a partire da Arabia Saudita e Qatar, che hanno storicamente finanziato l'estremismo sunnita in funzione anti-iraniana e con il grosso dell'Europa e dell'Occidente che rimane alla finestra, preoccupato in primo luogo di non rimettere il piede e gettare i quattrini nella palude dei conflitti mediorientali e, per usare le parole esplicite del viceministro degli esteri Pistelli, di non "riprodurre, sotto mentite spoglie, la guerra al terrore di Bush".
Se la coalition of the willing, che prima depose Saddam poi tentò di stabilizzare l'Iraq post-baathista, era guidata da un disegno idealisticamente ottimistico - l'esportazione della democrazia e altre ingenuità su cui si è esercitato per oltre un decennio il sarcasmo dei cosiddetti realisti - la coalizione dei riluttanti oggi impegnata tra Siria ed Iraq sembra non avere alcun disegno e coltivare solo la speranza vana che alla fine laggiù torni un ordine, un ordine qualsiasi, perché l'Occidente possa tornare al rapporto di complicato, ma in fondo stabile vicinato durato fino all'alba del nuovo secolo. Con la piega che hanno preso le cose, questa però non è un'aspettativa razionale, ma un sogno ad occhi aperti. E la retorica non-interventistica di oggi suona assai più vuota e posticcia di quella generosamente democratica degli "imperialisti" neocons di dieci anni fa.