logo editorialeL'approvazione al Senato del disegno di legge di riforma costituzionale chiude la prima fase politica del nuovo esecutivo, segnata, al principio, dal travolgente successo politico-elettorale del leader del Pd - che ha scalato a tappe rapidissime il vertice del partito e quello del governo, dopo un "assalto al cielo" temerario e considerato dai più destinato a un sicuro insuccesso - e infine riportata coi piedi per terra e ai problemi della triste realtà dall'Istat, che ha certificato che l'Italia rimane il grande malato d'Europa. Renzi non ha alcuna responsabilità, neppure indiretta, di indici economici così negativi, ma ha quella di farci i conti onestamente, lasciando la parte le professioni scontate di ottimismo.

La scelta di puntare tutto e subito sulle riforme istituzionali aveva una sua coerenza, al di là del contenuto della proposta, per dimostrare che la volontà di cambiamento della politica partiva propria dalla politica, senza sconti. Era un messaggio all'opinione pubblica, non ai mercati, nè ai partner europei che dall'Italia attendono riforme diverse da quelle del bicameralismo e del Titolo V. Il nodo che Renzi deve sciogliere è quello che da vent'anni lentamente, ma inesorabilmente strangola la società italiana. La mancata crescita e le mancate riforme sono il prodotto di un mercato politico inefficiente. Sono, detto in altri termini, l'indice di un fallimento democratico di cui il renzismo può essere il suggello o il rimedio.  Il divorzio tra le ragioni del consenso e le responsabilità del governo, a cui l'intero sistema politico italiano si è di fatto e per troppo tempo rassegnato, è la causa, di cui la fotografia dell'Istat rappresenta l'effetto.

Il "primo" Renzi - come del resto anche il "primo" Berlusconi - sembrava avere un senso acuto e drammatico del problema e della natura (non occasionale, non propagandistica, non ruffianamente antipolitica) del "change" necessario all'Italia. Il Renzi di governo, fino al richiamo di Draghi e all'evocazione di un sostanziale commissariamento politico dei paesi riluttanti dell'eurozona, non ha dato nè il senso della stessa urgenza, nè della stessa consapevolezza. Essere "contro Renzi" e la sua maggioranza, per chi vuole scommettere sulla possibilità delle riforme apparentemente impossibili, non è nè moralmente, nè politicamente razionale. Fuori dal perimetro del Governo, dentro questo Parlamento, c'è solo di peggio, di molto peggio.

Da parte sua Renzi non può compiacersi e rassicurarsi di un consenso che rimane saldo e di un popolarità apparentemente irresistibile. Se non scioglie il nodo delle riforme, finirà per restarne strangolato anche lui.

@carmelopalma

renzi padoan