logo editorialeDato che li conosciamo, sappiamo che i leader sindacali non sono degli sprovveduti anche se l’esercizio del loro ruolo li costringe, purtroppo, ad apparire tali.  Ci siamo chiesti, allora, per quali reconditi motivi si siano scagliati, con dovizia di dichiarazioni bellicose, contro le dichiarazioni rese dal  presidente del superInps Antonio Mastrapasqua nel corso dell’audizione presso la Commissione bicamerale.

Eppure, non c’era nulla di nuovo sotto il sole. Il disavanzo dell’ex-Inpdap – lo ha chiarito Mastrapasqua – oltreché da aspetti di carattere strutturale (blocco del turn over nel pubblico impiego, ridimensionamento ‘’strategico’’ degli organici, ecc.) dipende da una norma maligna del 2007  che ha trasformato in anticipazioni di Tesoreria (e quindi in debiti dell’ente verso lo Stato) gli iniziali trasferimenti (e quindi  crediti dell’Inpdap verso lo Stato) stanziati dalla legge Dini del 1995 a copertura dello stock delle pensioni degli statali, quando venne istituita la loro Cassa. E’ questa una storia complessa che merita di essere raccontata almeno per sommi capi.

Prima della legge n. 335/1995 le Amministrazioni dello Stato si limitavano ad incassare la quota di contribuzione dovuta dai loro dipendenti; poi, quando essi cessavano dal servizio le Amministrazioni erogavano direttamente i trattamenti spettanti in termini di cassa come gli stipendi. Con l’istituzione della Gestione pensionistica degli statali presso l’Inpdap (l’ente era stato costituito in via definitiva nel 1994) le amministrazioni hanno dovuto cominciare a versare alla Gestione stessa presso l’Inpdap la loro quota in quanto datori di lavoro.

Tutto questo  "giro di Peppe" (in buona parte rimasto sulla carta) sta a dimostrare quanti danni faccia l’ideologia, dato che, a vent’anni di distanza, ci si chiede se non le cose non funzionassero meglio prima. Nel 1996, nel momento in cui partì la suddetta Gestione degli statali si pose il problema di come far fronte allo stock delle pensioni in essere, così lo Stato si impegnò a trasferire il corrispettivo, 14mila miliardi di vecchie lire, alla Gestione, dal momento che si prendeva in carico il servizio. Questo stanziamento, che nel frattempo si è tradotto in circa 8 miliardi di euro, ha subito quella trasformazione in anticipazioni di cui accennavo in precedenza. E questo per alleggerire di qualche miliardo la posizione debitoria del bilancio dello Stato  presso i censori di Bruxelles.

E’ bene ricordare che la pratica di erogare coperture tramite anticipazioni anziché trasferimenti è vecchia come il cucco. Il Tesoro vi aveva fatto ricorso in passato per finanziare, in parte, la spesa assistenziale sostenuta dall’Inps, tanto che l’Istituto aveva accumulato una situazione patrimoniale deficitaria per 160mila miliardi di lire, poi azzerata nel 1998 grazie all’azione di Carlo Azeglio Ciampi. Ovviamente quella misura aveva rivoltato in positivo il bilancio Inps fino ad allora deficitario, ma solo grazie a un marchingegno inanziario. Tornando alla recente polemica dalla quale siamo partiti, quando Mastrapasqua ha dichiarato che il bilancio dell’Inps non è come quello che appare dall’esterno, non voleva dire che è peggiore, ma che il suo disavanzo dipende dalla fusione con l’Inpdap, il quale ha portato in dote la fregatura che ha ricevuto dallo Stato (e dall’ultimo governo di centro-sinistra).

E non servirebbe a nulla ripensare l’unificazione perché comunque il "buco" c'è, e resterebbe nel bilancio dell’Inpdap che è pur sempre un ente previdenziale che eroga pensioni, i cui oneri vanno nel conto "spesa pensionistica" del Paese.  Detto tra noi, il superInps è il prodotto della smania di riformismo da cui era affetto il governo Monti: quel che ne è derivato è un gigante amministrativo che non è ancora partito e che impiegherà decenni per andare a regime. Il governo non ha infatti ancora emanato le direttive con le quali il plenipotenziario Antonio Mastrapasqua dovrebbe portare a compimento la titanica impresa.

Detto questo, perché i sindacati (e non solo loro) hanno scatenato quel putiferio che troviamo oggi sui quotidiani ? E’ una banale questione di potere. Cgil, Cisl e Uil e la sinistra non tollerano che, fino a tutto il 2014, l’Istituto previdenziale più grande del mondo tanto da essere uno Stato nello Stato, a contatto con tutte le imprese e tutte le famiglie, sia gestito da un signore che si chiama Antonio Mastrapasqua. Nella passata legislatura ci fu il tentativo di riformare la governance dell’Inps, ripristinando il consiglio di amministrazione. Questi propositi naufragarono con la legislatura. C’è da aspettarsi che le polemiche di ieri preludano ad un emendamento nella legge di stabilità (se ancora ne esiste la possibilità) o comunque ad un ordine del giorno che rilanci la proposta di una gestione collegiale. Nel mirino della trojka sindacale non c’era l’Inps, ma il suo presidente pro tempore.