C'è una sorta di progressiva assuefazione al peggioramento della posizione del Paese nelle diverse graduatorie che misurano la valenza nazionale nell'uno o nell'altro settore. Tuttavia, la notizia che l'Italia ha perso 24 posti nella classifica relativa alla libertà di cui godono giornalisti e agenzie di stampa in 180 Paesi è tale da suscitare reazioni di sconcerto.

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Reporters sans frontieres ha appena diffuso i dati relativi al 2014: l'Italia si trova al 73' posto - il peggior risultato dal 2002 – secondo il World Press Freedom Index. Quest'ultimo è strutturato sulla base di una serie di criteri che considerano, tra l'altro, l'indipendenza dei media, la trasparenza dei processi decisionali del governo, la legislazione in materia e la sua efficacia, la concentrazione delle testate. La metodologia utilizzata prevede la sottoposizione ad associazioni partner, corrispondenti, giuristi, ricercatori ecc. di un questionario, le risposte al quale vengono poi valutate in maniera ponderata al fine di calcolare il punteggio finale di ogni Paese. RsF motiva il peggioramento dell'Italia con gli episodi di aggressione e le cause per diffamazione riguardanti i giornalisti, sottoposti così a "una forma di censura". Tuttavia, il tema della libertà di espressione, qual è interpretata al momento nel Paese, merita qualche considerazione ulteriore.

Nell'ordinamento giuridico nazionale, la libertà di manifestazione del pensiero è garantita costituzionalmente. Essa trova, altresì, riconoscimento nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ai sensi della quale "Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione", nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell'uomo dell'Unione Europea, che prevede "la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee". La Corte Costituzionale (sent. n. 105/1972) definisce espressamente la stampa "quale mezzo di diffusione tradizionale e tuttora insostituibile ai fini dell'informazione dei cittadini e quindi della formazione di una pubblica opinione avvertita e consapevole". Nella stessa sentenza, la Corte qualifica "la libertà di manifestazione", dal lato attivo, come "libertà di dare e divulgare notizie, opinioni, commenti" e, dal lato passivo, come "interesse generale, anch'esso indirettamente protetto dall'articolo 21, alla informazione; il quale, in un regime di libera democrazia, implica pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee". La tutela della libertà di informare e di essere informati mediante quanti più strumenti è volta a fare in modo che trovi rappresentazione ogni istanza proveniente dalla popolazione e vengano valorizzate le differenze culturali, politiche, economiche, geografiche, religiose insite in essa. Il pluralismo è presupposto essenziale per la dialettica delle componenti sociali ed è finalizzato a consentire l'elaborazione di convincimenti personali fondati su elementi di conoscenza sufficientemente ampi: è, pertanto, strumento di accrescimento della consapevolezza individuale e collettiva, al contempo.

Dato il quadro giuridico sopra tracciato e, al momento, la pessima posizione che l'Italia occupa nella classifica di RsF, vale la pena farsi qualche domanda: in particolare, se il pluralismo "formale" sancito normativamente trovi realizzazione in un pluralismo "sostanziale" e, quindi, nella effettiva circolazione di idee originali ad opera di una molteplicità di soggetti in grado di elaborarle, esprimerle e suscitare interesse nella comunità dei fruitori. In altri termini, occorre chiedersi se chi si avvale quotidianamente dei mezzi di informazione possa disporre di un panorama di idee, opinioni, inchieste sufficientemente variegato e, dunque, idoneo a determinare un reale arricchimento.

A questo riguardo, può osservarsi come la stampa italiana paia da ultimo poco tesa a stimolare la capacità di valutazione individuale e manifesti, invece, sempre più la propensione a riflettere il sentimento di un Paese che aspira soprattutto a ritrovare la fiducia nei propri governanti. Il clima di ottimismo suscitato dalla formazione dell'attuale Esecutivo sembra così connotato dall'abbassamento della soglia di attenzione di molti whatch-dog nazionali, con il conseguente depotenziamento dei compiti di controllo e di approfondimento connessi al ruolo esercitato e l'appiattimento di quel senso critico che ne costituisce l'imprescindibile premessa. In particolare, non sempre essi mostrano di testare la coerenza logica o il rigore argomentativo di quanto affermato dai politici intervistati, né di effettuare una verifica costante circa il rispetto degli impegni da questi ultimi assunti.

D'altro canto, chi qualifica come disfattisti - o addirittura menagrami - gli autori di giudizi negativi non agevola l'attività di coloro i quali hanno la funzione non di alimentare la speranza, bensì di accertare che essa trovi basi solide e, quindi, sia ben riposta. Se l'accountability è il risultato perseguito da chi sia in grado di rendere conto fondatamente del proprio operato, appare evidente come politica e media dovrebbero essere interessati al medesimo obiettivo: la trasparenza di ogni profilo in relazione al quale la collettività manifesti un'istanza di conoscenza o che il giornalismo intenda comunque sottoporre a controllo. Invece, su questo punto si verifica una sorta di corto circuito, che non consente in molti casi il raggiungimento dello scopo indicato: la tecnica politica prevale, la domanda puntuale viene elusa abilmente e il chiarimento richiesto in merito a profili controversi, responsabilità personali oppure altro resta in uno stato di dissolvenza che rischia di dissolvere, a propria volta, il senso critico generale. Anche l'informazione non fornita e, dunque, l'opacità perdurante, è comunque un'informazione, la cui valenza andrebbe rimarcata forse più di molte altre.

La coesistenza di una molteplicità di voci, sancita dall'ordinamento, non assicura, quindi, in concreto dal pericolo di un tono giornalistico monocorde e poco variegato, che vanifica nella sostanza il pluralismo esistente. Parimenti, la concorrenza tra i media, garantita normativamente da regole antitrust vigenti da tempo, può tradursi nella "concentrazione" di opinioni più o meno uniformi. La possibilità offerta al pubblico di accedere a fonti di pensiero differenti non riesce, pertanto, a conseguire sempre lo scopo cui è finalizzata in una democrazia evoluta: l'accrescimento nella collettività di una maturità che le consenta scelte consapevoli nell'esercizio degli strumenti di democrazia previsti.

Le considerazioni sopra svolte, che traggono spunto dall'Indice di RsF di recente pubblicato, rendono ancora più evidente quanto molti si domandano da tempo: quale senso abbia la permanenza dell'Ordine dei Giornalisti, considerato che la libertà di espressione, tutelata dalla Costituzione, viene interpretata variamente e non sempre in modo compiuto, come visto, e che l'osservanza dei limiti connessi è comunque assicurata dalla normativa esistente. Il ruolo dell'Ordine sembra, di conseguenza, sostanziarsi esclusivamente nella tenuta di un Albo che è, da un lato, una barriera per chi voglia accedere alla professione; dall'altro, un onere economico per chi vi sia già iscritto. Se la libertà di manifestazione del pensiero è garantita a ogni individuo indistintamente, costituisce un paradosso il fatto che coloro i quali la esercitino professionalmente debbano essere "selezionati" e sostenerne i relativi costi. Peraltro, la tessera di appartenenza alla categoria - formalizzazione che rappresenta il retaggio di un'epoca diversa e la cui ratio non ha attualmente alcun significato – non attesta il merito di chi ne disponga né lo rende un operatore dell'informazione più qualificato rispetto a chi ne sia sprovvisto.

RsF precisa di non valutare la qualità dei media dei Paesi esaminati, per la redazione della classifica annuale: i cittadini, invece, dovrebbero iniziare a farlo. La migliore competizione fra gli appartenenti al settore e, dunque, il suo effettivo funzionamento, trova nella valutazione degli utenti il proprio fondamento: la chiusura del cerchio della libertà di espressione, per chi la esercita e per chi ne è destinatario, in fondo è proprio questa.