Mi piace sapere che la collaborazione con "Strade" sia nata un pomeriggio d'inverno, di quelli in cui hai da lavorare, ma capita di incontrare amici che respirano ogni giorno la tua stessa aria: scrivere di diritto, ascoltare racconti di chi "fa" politica, inseguire obiettivi ambiziosi. Incontri casuali nelle strade di Roma, dai quali raccogli idee e nascono progetti. Strade ampie, giovani e metropolìte. Come quelle di Parigi, con il suo allure interculturale e il bon ton dei tanti intellettuali che da secoli fanno della città dalla torre di ferro la casa per le proprie "rivoluzioni culturali".

moschea roma

Chi conosce Parigi sa che rue Nicolas Appert rimarrà nella storia la strada della libertà. Libertà d'espressione, libertà di manifestazione religiosa, libertà di urlare al mondo con una voce silenziosa: quella di una matita. L'attentato alla sede di Charlie Hebdo e quello di Porte de Vincennes non spengono la voce della libertà, rinverdiscono ed anzi rafforzano un sentimento pan-europeo che vede le città di tutta Europa tappezzate di volantini "Je suis Charlie" ed è simbolo di lotta all'antisemitismo e al terrorismo internazionale. "Essere" Charlie non è solo una moda, significa essere cittadini europei e lottare per garantire quello che i nostri padri hanno voluto per i nostri figli: camminare su di un suolo di libertà, sicurezza e giustizia.

Ecco perché diritto e libertà sono due facce della stessa medaglia. Ed ecco perché il voto della legge n.62 per impedire la costruzione di moschee in Lombardia, approvata dal Consiglio regionale lombardo proprio il giorno in cui tutto il mondo celebrava la Giornata della Memoria è apparso un grave affronto alla libertà di culto, oggetto di inviolabile garanzia costituzionale. PD, Patto civico di Umberto Ambrosoli e Movimento 5 stelle tra le fila dei sostenitori di due questioni pregiudiziali di incostituzionalità da presentare in un possibile invito al governo a ricorrere alla Consulta, ovvero la contestazione che possano costruire luoghi di culto solo le confessioni religiose che abbiano un'intesa con lo Stato e che abbiano "una presenza diffusa, organizzata e 
consistente a livello nazionale".

L'approvazione della legge n.62 (c.d. "antimoschee"), oltre a scuotere le coscienze più sensibili al rispetto delle uguaglianze sostanziali in Italia, non incontra con tutta evidenza il favore della popolosa comunità musulmana, ma neanche quello delle comunità protestante, buddista ed ebraica che abitano la Lombardia e l'Italia in generale e che dalla legge che impedisce – o quantomeno ostacola - la costruzione di moschee traggono un pesante pregiudizio. La legge mira infatti ad impedire la costruzione di nuovi edifici di culto non dotati di telecamere collegate con le forze dell'ordine, carenti di parcheggi con una superficie almeno doppia di quella del luogo di culto stesso e incongruenti architettonicamente "con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo", parametro stilistico piuttosto provocatorio.

Complesso in realtà il bilanciamento tra le ragioni di garanzia della sicurezza invocate come risposta agli attentati di Parigi e il combinato disposto - che mette a rischio di giudizio di incostituzionalità la neonata legge- degli artt. 3 (diritto all'uguaglianza) e 8 (principio di eguaglianza delle religioni tra di loro) della Costituzione. E ancora più delicato il rapporto con il diritto alla libertà e al sentimento religioso tutelato dalla più ampia normativa internazionale (1), contenuto nell'art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e ribadito in una consolidata giurisprudenza comunitaria (2). Occorre a tal proposito ricordare che tra i più rilevanti casi sottoposti al giudizio della Corte di Strasburgo concernenti il rapporto tra tutela dei diritti fondamentali e sicurezza interna/internazionale, nell'ultima sentenza relativa all'affare Ahmet Arslan et autres c. Turquie del 2010 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo condannava l'azione di arresto di alcuni cittadini turchi che avevano indossato abiti religiosi in violazione di una legge anti-terrorismo, giudicandola una misura sproporzionata, ingiustificata e finanche lesiva dei princìpi succitati.

Potremmo chiederci come mai gli attentati di gennaio non abbiano avuto ripercussioni in vista di una possibile chiusura della Grande Mosquée de Paris, situata proprio nel quartiere latino della capitale francese e di gran lunga più imponente (trattasi della seconda moschea per grandezza in Europa) e popolata della Moschea di Segrate, della quale invece si vociferava la temporanea chiusura. Una possibile risposta risiede nella considerazione che una serie di controlli assicurati dall'installazione di videocamere per tutto l'edificio della Moschea parigina e un servizio di polizia ininterrotto per tutto l'orario di accesso al pubblico assicura misure cautelative probabilmente meno restrittive rispetto alla chiusura di un edificio di culto e meno onerose rispetto alle restrittive regole urbanistiche imposte dalla legge n. 62 da utilizzare nella costruzione delle nuove moschee.

 

Note

  1. Ris. ONU 1510/2006 Freedom of expression and respect for religious beliefs, Ris.ONU 1805/2007 Blasphemy, religious insult and hate speech against persons on grounds of their religion, Ris. ONU 1577/2007, Towards descriminalisation of defamation
  2. Inter alia: caso Serif c. Grecia del 1999; Casi Drongu c. Francia, Testimoni di Geova c. Austria e Kervanci c. Francia del 2008; casi Ghazal e Aktas c. Francia del 2009; caso dei Testimoni di Geova c. Russia del 2010.