Diego Marmo assessore alla "legalità"? Un'offesa alla memoria di Tortora
Diritto e libertà
Diego Marmo è un magistrato, oggi in pensione, divenuto famoso per essere stato il pubblico ministero nel processo napoletano contro la Nuova Camorra Organizzata o, per meglio dire, contro Enzo Tortora che – innocente – rappresentò suo malgrado il simbolo di quella pagina ormai paradigmatica della storia giudiziaria italiana.
Se fosse caduta l'accusa contro di lui, sarebbe crollata l'impalcatura del maxi blitz e sarebbe venuta meno la legittimazione pubblica, quindi di fatto politica, dell'intera operazione. Tortora doveva essere colpevole: "Questi signori per salvare la loro faccia fottono me", mi scriveva Enzo dal carcere.
Infatti, per supportare anche mediaticamente la sua colpevolezza si fece ampio ricorso a falsità sostenute con quell'enfasi che Noam Chomsky, linguista e filosofo americano, definisce "banditismo semantico", forzando il significato delle parole fino a capovolgere il senso e la verità dei fatti che quelle parole avrebbero dovuto raccontare. "Cinico mercante di morte" fu uno dei tanti modi (di tutti, il peggiore) con cui fu chiamato il presunto colpevole Tortora per fare valere contro di lui una legge – questa sì "cinica" – di necessità. L'imputato eccellente – lo ripetiamo – doveva essere colpevole, contro ogni verità e ogni ragionevolezza, perché non crollasse la pretesa eccellenza della maxi-inchiesta.
Di quello spettacolo che Giorgio Bocca definì "il più grande esempio di macelleria giudiziaria all'ingrosso del nostro Paese", Diego Marmo, pm d'aula nel processo di primo grado, fu un assoluto e, per certi versi, inarrivabile protagonista. A chiamare Tortora così – "cinico mercante di morte" – fu proprio lui, ma soprattutto fu lui a teorizzare che "se cade la posizione di Enzo Tortora si scredita tutta l'istruttoria". Non si poteva "fottere" l'inchiesta, bisognava, come diceva Enzo, "fottere" Tortora.
Il 17 giugno, giorno in cui trentuno anni fa Enzo fu arrestato (una coincidenza macabra e grottesca), Diego Marmo è stato nominato Assessore alla legalità del comune di Pompei. Nella guerra dei simboli, ancora una volta a rappresentare la legalità non è Tortora, con la sua idea civile del diritto, del processo e della giustizia, ma l'ex pm che un po' lo accusava e un po' lo sfotteva per le sue rivendicazioni di innocenza e chiedeva (e purtroppo otteneva) la sua necessaria condanna con ragioni giuridicamente indecenti.
È ipotizzabile che il neo sindaco Nando Uliano che l'ha chiamato nella sua squadra di governo non conoscesse questa storia? Non ci credo. E comunque ora le conosce, per cui vorrei rivolgergli una semplice domanda: darebbe la responsabilità dei lavori pubblici del suo comune a un ingegnere che ha progettato un ponte crollato il giorno dopo l'inaugurazione? Per sostenere l'accusa contro Enzo Tortora, Marmo ha fatto questo: ha fatto crollare il ponte della giustizia, ha tradito la fiducia di chi crede che il magistrato faccia giustizia. Nonostante questo, è stato premiato ancora una volta. Perché in Italia, il tema della responsabilità dei magistrati è un mantra da convegno, il premio alle loro colpe una costante.
Visto che, per quel che ne capiamo, Marmo non avrà la dignità di dimettersi da una carica accettata come premio alla carriera, abbia almeno il sindaco Uliano la decenza di ritirare quella delega sciagurata, che suona come una ennesima offesa alla memoria di Tortora.