Come molti ingenuamente confondono il dogma dell’immacolata concezione, cioè del concepimento di Maria libera dal peccato originale, con il prodigio della maternità della Vergine, così l’indulgenza plenaria promessa nel Giubileo è equivocata come una sorta di amnistia dai castighi di Dio, mentre in realtà è la liberazione della vita dal peccato, non per la salvezza ultraterrena degli uomini, ma per la loro purificazione nel mondo con la preghiera e con le opere di penitenza e di carità.

Papa Francesco ha voluto che il Giubileo 2025 fosse all’insegna della speranza, che è una delle virtù teologali, ma è anche una virtù politica e civile molto speciale, ben diversa dall'ottimismo. Vaclav Havel, prigioniero del regime cecoslovacco negli anni '70 e '80, diceva che la speranza non è la fiducia che ciò che facciamo possa avere successo, ma è la certezza che abbia un senso.

La speranza non è quindi un’aspettativa positiva rispetto al corso “naturale” degli eventi del mondo, ma è quella che kantianamente si potrebbe definire una ragione pratica, cioè un principio morale di azione, di cambiamento e di umanizzazione della storia, la cui doverosità è del tutto indipendente dalla possibilità di riuscita.

Per una serie di motivi che chiamano in causa anche la retorica della Chiesa, ma soprattutto il collateralismo clericale di chi trova comodo nascondersi sotto il talare bianco del Pontefice (che per comprensibili ragioni non vuole fare il cappellano di guerra, come il suo omologo russo, il Patriarca Cirillo) questo Giubileo è stato  anche intitolato alla pace, fatta però coincidere con una sospensione o assenza di guerra guerreggiata e quindi con quella che sempre Havel avrebbe definito “la calma dell’obitorio o della tomba”.

Qualora questo Giubileo servisse per propiziare una pace coincidente con la normalizzazione cimiteriale delle speranze ucraine, il segno della pace contraddirebbe quello della speranza, perché se non c’è pace senza giustizia, non c’è neppure speranza senza libertà.

A poche ore dall’apertura della Porta Santa si può già sentire l’eco dei mostri e dei quaquaraqua politici – da Putin a Conte e Salvini, per intendersi – che imbracceranno le parole del Pontefice – chissà se meno avventate del solito – per invocare un accordo come quello di Monaco del 1938, cioè l’abbandono della speranza della libertà e del rispetto dei diritti degli uomini e delle nazioni, sacrificate alla bestia nazista, sperando di soddisfarne l’appetito. Un appeasement salutato allora in Francia e nel Regno Unito come condizione per il trionfo della pace possibile diventò – com’era logico – foriero di una guerra inevitabile. Con un'Ucraina abbandonata succederebbe esattamente la stessa cosa.

Oggi è l’Ucraina lo pietra dello scandalo della speranza e la pace bestemmiata e fondata sulla sua immolazione è il peccato per cui non c’è indulgenza.