Sostenere l'Ucraina. Tre esempi dell'ipocrisia italiana
Diritto e libertà
In politica, come nella vita, esiste una dimensione evidente e apparente, quasi banale, e una seconda dimensione nascosta, fatta di una serie di questioni meno apparenti, meno evidenti ma tutt’altro che banali, che, se portate alla luce, danno una visione diversa delle cose, a volte molto lontana da quella fornita dalla prima dimensione.
Facciamo un esempio concreto: se diciamo “Il governo italiano sostiene l’Ucraina nella sua lotta di resistenza all’aggressione di Putin” sappiamo di dire una cosa apparentemente indiscutibile, quasi, appunto, banale. Ma se non ci accontentiamo e vogliamo addentrarci nella dimensione nascosta e iniziamo a chiederci “Come avviene questo sostegno? In quale misura? Esistono zone grigie, questioni su cui l’Italia dovrebbe fare molto di più per implementare questo sostegno?” saltano fuori aspetti di cui nessuno in Italia si interessa, tranne eccezioni ristrette e marginali di cui siamo orgogliosi di far parte. Tratteremo qui brevemente tre di queste questioni.
1) Forniture militari all’Ucraina
Sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 10 luglio è stato pubblicato il Decreto del Ministero Difesa del 25 giugno 2024 di “Autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle Autorità governative dell'Ucraina”, a titolo non oneroso. E’ il nono invio di aiuti militari dall’inizio della seconda aggressione russa all’Ucraina (24/02/2022). Come tutti i decreti precedenti, l’allegato del provvedimento non contiene la lista delle forniture inviate ma solamente questa frase “Se ne omette la pubblicazione in quanto documento classificato”. Stop.
A prima vista sembrerebbe una cosa scontata: così fan tutti. Invece, basta una veloce ricerca su Internet per appurare che l’Italia è l’eccezione e non la regola. In Germania il governo tedesco pubblica e aggiorna settimanalmente al lista delle forniture inviate all’Ucraina sul suo sito istituzionale.
Anche negli Stati Uniti il governo federale pubblica tutte le forniture all’Ucraina, in modo analitico. In Gran Bretagna il governo mette al corrente periodicamente la Camera dei Comuni della quantità e qualità delle forniture. I giornalisti possono chiedere e ottenere tutte le informazioni del caso. Non bastasse, c’è il sito della Camera dei Comuni. Pure in Francia, dopo un’iniziale ritrosia, l’Eliseo fornisce ampie informazioni sulle forniture e lo stesso fa il governo canadese. Dulcis in fundo, il piccolissimo Lussemburgo che diffonde la lista delle forniture addirittura su Twitter.
La nostra militanza radicale è abbastanza lunga da farci ricordare che nel 1983 il Partito Radicale (in particolare Roberto Cicciomessere) pubblicò un libretto dal titolo “Quello che i russi già sanno e gli italiani non devono sapere”, contenente la mappa delle basi missilistiche in Italia della Nato. Quarant’anni dopo, la questione è sempre quella: sicuramente Putin conosce l’entità dell’apporto italiano all’Ucraina, grazie anche ai suoi amici e informatori annidati nelle istituzioni politiche, diplomatiche e militari (il “caso Biot” ha rivelato la punta dell’iceberg). È invece negato il “diritto alla conoscenza” (di pannelliana memoria) degli italiani sull’entità e qualità di forniture che, diciamolo, sono finanziate grazie alle imposte pagate dagli stessi cittadini.
Nel maggio scorso, in Parlamento, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, aveva dichiarato che “stava pensando” di togliere, almeno in parte, il segreto di Stato sugli aiuti all’Ucraina. E’ evidente che il ministro abbia cambiato idea. Gli chiediamo un supplemento di riflessione. Secondo noi, l’elenco degli aiuti non è pubblicato perché verrebbe alla luce l’esiguità quantitativa e qualitativa degli aiuti stessi, soprattutto se rapportata ai dati (già pubblici) degli altri Paesi della Nato. Saremmo, naturalmente, felicissimi di essere smentiti.
2) Onorificenze italiane date a uomini di Putin.
Invitiamo i lettori di “Strade” a digitare su un qualsiasi motore di ricerca il nome “Peskov”. Potranno constatare che non passa giorno senza che il portavoce di Vladimir Putin, Dmitry Peskov, minacci i Paesi occidentali, Italia compresa, per il loro sostegno all’Ucraina. Ebbene, questo signore è ancora Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
A seguito di una nostra campagna di denuncia, partita nel 2020, nel 2022 il governo Draghi revocò 14 delle 33 onorificenze concesse dai governi precedenti, dal 2014 (prima aggressione russa all’Ucraina), a uomini del “cerchio magico” di Putin. Il governo italiano deve ancora revocare 19 onorificenze. Ecco i nomi dei “cavalieri indegni”. L’unico della lista degno di mantenere l’onorificenza è il magnate Oleg Tinkov, che ha pure rinunciato alla cittadinanza russa in polemica con l'intervento militare in Ucraina.
Sulla questione delle onorificenze è stata presentata il 6 marzo scorso in Parlamento un’interrogazione da parte del deputato Benedetto Della Vedova, conseguente ad una iniziativa nonviolenta di sciopero della fame di Silvja Manzi e Igor Boni.
Avevamo anche consegnato, il 4 ottobre 2023 (sesto anniversario della consegna della onorificenza a Peskov), al capo di gabinetto del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, le firme di centinaia di cittadini che richiedevano la revoca di quella e delle altre onorificenze. Avevamo avuto in cambio rassicurazioni su un serio impegno del governo in tale senso. Da allora solo silenzio e rimozione. Continueremo a essere i soli a denunciare lo scandalo di onorificenze della Repubblica date per crimini e non per meriti?
3) Codice dei crimini internazionali
Dulcis in fundo, ne abbiamo anche per il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che il 18 gennaio 2023, illustrando nel Senato della Repubblica le attività del Ministero della Giustizia in ambito internazionale, dichiarò che l’Italia avrebbe adottato il “Codice dei crimini internazionali” entro il dicembre 2023. Così parlò Nordio: “Solo attraverso questo intervento normativo, che appare indifferibile, sarà possibile assicurare il perseguimento, anche nella giurisdizione italiana, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra e realizzare la complementarietà con la giurisdizione della Corte penale internazionale prescritta dallo Statuto di Roma”. Parole sante. Peccato che lo Statuto di Roma della CPI fu adottato il 17 luglio 1998 (anche grazie alla campagna dell’allora Partito Radicale transnazionale e di “Non c’è Pace Senza Giustizia”) e fu ratificato dall’Italia con Legge 12 luglio 1999, n. 232, che entrò in vigore il 1° luglio 2002. Sono passati 22 anni esatti e siamo ancora in una situazione giuridica tale per cui, se per ipotesi teorica Vladimir Putin fosse arrestato in Italia, non avremmo gli strumenti giuridici per estradarlo al Tribunale Penale dell’Aia, dove merita di finire non solo per il reato di “deportazione di bambini ucraini” per cui pende sul suo capo un mandato di arresto della CPI ma per i reati di “crimini di guerra” e di “crimini contro l’umanità” debitamente elencati e descritti nello Statuto della CPI.
Ministro Nordio, nulla da dichiarare e, magari, da fare?!
Queste tre vicende, che fanno parte di quella dimensione nascosta di cui scrivevamo all'inizio, forniscono una luce diversa sul sostegno del nostro Paese all'Ucraina. Sarebbe urgente e opportuno che la Presidente Meloni si attivi per cancellare queste ambiguità, che sono macigni sulla credibilità dell'Italia nel contesto europeo e internazionale.
europaradicale.eu