Finalmente Patrick Zaki è libero. Finalmente possiamo gioire per la sorte di un ragazzo, anche cercando di esorcizzare il terrore provato nella terribile vicenda di Giulio Regeni. Peraltro la libertà di Patrick è ancora decisamente condizionata e non solo in senso giudiziario. Non è più in galera, ma non è un uomo libero.

La legge, in Egitto, non è concepita per tutelare la libertà dei cittadini – a partire da quella di pensiero e di espressione – ma per offrire al potere la legittimazione giuridica dell’arbitrio e dell’oppressione. Bisogna tenerlo presente e sapere che il processo Zaki non sarà comunque mai, neppure in seguito, conforme alle regole di uno stato di diritto.

L’Italia invece lo è, anche se sembra, proprio in ambito giudiziario e ancor di più carcerario fare di tutto per avvicinarsi a modelli diversi. L’altalena di emozioni ti-pica della classe dirigente italiana fa sempre dimenticare le falle del nostro sistema giudiziario. Perché se gioiamo - e a ragione - per la scarcerazione di Patrick Zaki, dovremmo ricordarci anche che siamo il paese europeo con i record negativi in fatto di ingiusta detenzione, tempi biblici di carcerazione preventiva e innocenti letteralmente perseguitati da alcune procure e certi magistrati che, in tema di stato di diritto, presunzione d’innocenza e tecniche di indagine, poco si differenziano dai loro omologhi egiziani.

La vicenda Zaki dovrebbe dunque portare chi oggi si rallegra a intervenire immediatamente per riportare l’intero sistema giudiziario (e penitenziario) italiano all’interno del perimetro minimo delle democrazie liberali.