cospito grande

Qualcuno di voi avrà letto della vicenda di Alfredo Cospito, l’anarchico responsabile di alcuni attentati, fra i quali quello alla scuola allievi carabinieri di Fossano, recentemente sottoposto al regime carcerario previsto dall’art. 41-bis, che rischia la condanna all’ergastolo “ostativo” senza possibilità di accedere ad alcun beneficio.

La vicenda appare per certi versi incomprensibile se si pensa che, nell’attentato per il quale è sotto processo, nessuno ha perso la vita o è rimasto ferito.

Com’è possibile che la sua condotta possa ricevere, senza possibilità di alcuna graduazione, una sanzione che, per la sua sproporzione, non può che lasciare perplessa buona parte dell’opinione pubblica?

La spiegazione è che, in questo caso, siamo di fronte al sovrapporsi di norme scritte durante il fascismo (e da questa ideologia pesantemente condizionate) con la legislazione emergenziale approvata per far fronte a mafia e terrorismo, nonché con le modifiche approvate dal governo di centrodestra al tempo della ex-Cirielli che hanno aggravato la posizione dei recidivi.

Il codice penale, infatti, prevede due distinte ipotesi di reato di “strage” e punisce non solo il verificarsi dell’evento, ma anche il semplice “pericolo” per l’incolumità pubblica.

Mentre l’art. 422 c.p. sanziona con l’ergastolo l’attentato alla pubblica incolumità nel quale perdono la vita più persone e con la reclusione non inferiore a quindici anni laddove nell’attentato non perda la vita nessuno, l’art. 285 sanziona con l’ergastolo chi, attraverso la medesima condotta, metta in pericolo la sicurezza dello stato anche se non vi sono state vittime.

Nel caso di Cospito, la cassazione ha ritenuto che la collocazione di due ordigni nella scuola allievi carabinieri ha messo in pericolo la sicurezza dello stato, per cui ha rinviato gli atti alla corte d’appello di Torino per applicare ad Alfredo Cospito le sanzioni dell’art. 285 (e non dell’art. 422, come originariamente statuito dalla corte territoriale).

A questo punto, la corte d’appello, che si è trovata in una sorta di vicolo cieco, poiché la legge ex Cirielli preclude la possibilità di applicare le circostanze attenuanti ai recidivi plurimi, ha rimesso gli atti alla Consulta affinché decida se sia conforme a costituzione tale preclusione anche in relazione all’art. 311 c.p. che, in astratto, consentirebbe di applicare all’imputato una riduzione di pena, in ragione della “lieve entità” della condotta (nell’attentato, ricordo, nessuno ha perso la vita).

Nel frattempo, Alfredo Cospito, così come accade per i boss mafiosi, è stato sottoposto al cosiddetto “carcere duro” previsto dall’art. 41-bis, nonostante non abbia mai ucciso nessuno.
La sua vicenda, anche a chi non condivide minimamente le sue azioni o le sue idee, rende evidente la sempre maggiore difficoltà di ricondurre nell’alveo costituzionale l’impianto di alcune parti del codice penale e il trattamento sanzionatorio che ne deriva.

Dall’ideologia autoritaria che ispirava il codice Rocco, abbiamo lo stato come valore assoluto da tutelare, così da giustificare l’applicazione della sanzione penale più grave, l’ergastolo, anche senza perdita di vite umane, in modo tale da apparire sproporzionata alle moderne coscienze civili.

Dagli automatismi della legislazione sui recidivi, introdotti negli anni scorsi per soddisfare un’opinione pubblica mai abbastanza contesta delle pene irrogate nei tribunali italiani, abbiamo la limitazione della possibilità ai giudici di operare un’adeguata valutazione della gravità concreta dei fatti oggetto di causa, spesso andando contro il buon senso e contro la stessa ragionevolezza giuridica.

Appare infine, in tutta la sua evidenza, il carattere inutilmente vessatorio del regime carcerario previsto dall’art. 41-bis, pensato originariamente per impedire le comunicazioni tra i boss mafiosi e i propri sodali rimasti in libertà, e trasformatosi in una vera e propria pena (il “carcere duro” nel linguaggio comune), non compatibile con il nostro ordinamento costituzionale.

Alfredo Cospito, in attesa del giudizio del tribunale di sorveglianza sulla revoca del regime dell’art. 41-bis, e della sentenza della corte costituzionale sulla possibilità di applicare al suo caso le attenuanti previste dal codice, è in sciopero della fame e la sua salute è a rischio.

La nostra coscienza dovrebbe imporci, a partire dal suo caso, di fare una profonda riflessione sulla compatibilità delle norme che stridono con la nostra costituzione e con i valori di un diritto penale autenticamente liberale.