diario di guerra grande

A proposito della guerra che dal 24 febbraio sta dilaniando l’Ucraina, si è aperto un abisso tra la realtà, per come viene raccontata e interpretata nei salotti televisivi e per come viene invece vissuta da chi si trova sul posto ed è in grado di testimoniare cosa succede in quella terra martoriata. Perché spesso ci dimentichiamo che, al di là di tutti gli interessi geopolitici ed economici in ballo, chi vive maggiormente sulla propria pelle l’orrore della guerra è la gente comune, che si è vista stravolgere la routine quotidiana da un giorno all’altro e che nella maggior parte dei casi vuole solo una vita serena per sé e i propri cari.

Questo pensiero è stato fatto proprio dall’illustratrice ucraina Olga Grebennik, che ha raccontato ciò che lei e la sua famiglia hanno dovuto passare nei primi giorni del conflitto nel suo “Diario di guerra”, in cui ha raggruppato annotazioni e disegni fatti quasi ogni giorno per raccontare la realtà che la circondava e le emozioni provate. Non a caso, il volume si apre con la frase: “C’è la guerra e ci sono le persone. La prima non tiene conto delle seconde.” Il libro è stato tradotto in italiano da Tatiana Pepe e pubblicato da Caissa Italia Editore.

La Grebennik, di madrelingua russa e che ha all’attivo una proficua carriera come autrice di libri per bambini, ha raccontato la sua esperienza dividendola principalmente in due fasi: la prima va dal 24 febbraio al 3 marzo circa, poiché in quei giorni lei e la sua famiglia dovettero nascondersi nei sotterranei della sua città, Charkov, assieme ad altri concittadini costantemente provati dalla paura e dall’incertezza. La seconda parte vede lei, i suoi due figli e il loro cane fuggire, dopo 8 giorni e 8 notti nascosti sottoterra, grazie ad un tassista amico che li aiuta ad andare a Lvov, da dove verranno accolti come profughi dapprima a Varsavia, e poi in Bulgaria, dove vivono nel momento il libro è stato mandato in stampa. Una scelta difficile, dal momento che per mettere in salvo i figli Olga Grebennik ha dovuto lasciare in Ucraina i genitori e il marito, diretta verso l’ignoto.

La grafica è essenziale ed è una scelta stilisticamente e tecnicamente necessitata. L'autrice aveva solo un taccuino e una matita, portati con sé in un sotterraneo, con un sistema d’illuminazione improvvisato: prevale il bianco per l’ambientazione e tonalità nere e grigie per delineare i personaggi, con a fianco le note.  La Grebennik è stata capace di ingegnarsi con i pochi mezzi a disposizione per fare un resoconto aderente e convincente di ciò che la popolazione civile in quel paese sta subendo da mesi.

Sono raccontati i bombardamenti sulla città, che cancellano ciò che per molti abitanti era il loro mondo; le giornate nel sotterraneo; i bambini che all’inizio sono tranquilli e socializzano con i loro coetanei, ignari di ciò che succede all’esterno, salvo alla lunga risentire della mancanza delle loro normali attività.

Non è la prima volta che il fumetto e l’illustrazione denunciano la situazione in Ucraina: già nel settembre 2014, il settimanale Left pubblicò una storia del fumettista Igort dal titolo “Carbone”, in cui raccontava le difficoltà degli ucraini a procurarsi materie prime per l’inverno. Mentre il 3 marzo di quest’anno Mimmo Paladino, pittore e scultore che ha esposto le sue opere in tutto il mondo, ha illustrato una speciale copertina con la bandiera ucraina per il Corriere della Sera.

Il racconto della Grebennik è più sociale che politico: nel testo non si trovano particolari riferimenti alla Russia o al governo di Kiev, e non c’è la pretesa di avere la soluzione in tasca per porre fine alla guerra. Vi è solo un forte desiderio di ritornare in un paese in pace e riabbracciare i propri cari, per riappropriarsi della vita. Un desiderio sicuramente condiviso da tutto il popolo ucraino.