C'è la guerra, la "martoriata Ucraina" e un' aggressione "sacrilega" (così ha detto Francesco a Malta) e dall'altra parte c'è la propaganda e poco altro. Io mi sento allievo di Capitini e di Gandhi, credo nella nonviolenza come strategia e prassi, e tutto questo non mi impedisce – anzi, mi spinge – a denunciare l'aggressore, a sporgermi stravolto sulle fosse comuni di Putin, a misurare gli abiti civili di chi affolla quelle buche dell'Inferno.

La nonviolenza è azione, conoscenza, boicottaggio, verità, scelta, è prendere parte per la Giustizia mentre si muore sotto le bombe, contro chi uccide con le bombe.

L'equidistanza, la battaglia solo contro la Nato, il chiudere gli occhi e le orecchie innanzi alla voce e ai timori dei finlandesi, dei baltici, dei polacchi, non è semplice pacifismo - non lo è mai stato - è presa di posizione ideologica, anti occidentalismo culturale, retaggio politico.

Putin ha detto tutto prima di iniziare, il suo Mein Kampf è stato trasmesso su tutti gli schermi del mondo: l'Ucraina non ha storia propria, non ha futuro autonomo. La freccia del destino di Kiev ha tutto scritto sin dall'origine, ha un messaggio "eterno" che porta dentro "da sempre"; nessun altro bersaglio ha senso, nessuna contingenza, possibilità o speranza, ha davvero significato.

I giovani ucraini, identici a noi, nostri fratelli come i giovani russi vittime dell'autocrate del Cremlino, sono privi della libertà essenziale, gli è sottratta non solo la patria ma la loro prole occidentale, lo sviluppo possibile di un ethos che prevale sull'ethnos escludente.

C'entra con tutto questo il pregiudizio anti americano? Le critiche (sempre possibili e mai tacitate) contro la Nato? Di questo parlano le nazioni vicine all'Orco Russo? Di quale "oppio" hanno timore? Della fascinazione "debole" e relativista degli europei o del "veleno" assolutista veicolato dal "Plutonio" cesaropapista?