Contro Dreyfus, in difesa di Petain. Zemmour, l’ebreo antisemita, parafango delle vergogne francesi
Diritto e libertà
“Io piccolo ebreo berbero venuto dall’altra sponda del Mediterraneo…ovviamente non sono razzista”. Tanto dice Eric Zemmour nel suo primo comizio della campagna elettorale, mentre inneggia alla “riconquista” della Francia, riconquista che, ovviamente, passa (in ordine sparso) per la rinnovata sovranità francese, per l’abbandono della Nato, per l’abolizione dell’assistenza sociale per gli stranieri non europei e per la privazione della cittadinanza francese per quanti, avendo una doppia cittadinanza, abbiano commesso un qualche reato (il tutto sacralizzato, tramite referendum/plebiscito, dalla volontà del popolo francese).
Zemmour è il nuovo astro nascente degli intellettò dell’internazionale sovranista. Tra una citazione di Bernanos e di Napoleone, Zemmour esprime la sua devozione fervida ed incrollabile per la Nazione, per la Sua Nazione. La democrazia è debole, la democrazia è in crisi, la democrazia non è l’unica forma di governo possibile: questa la litania che sentiamo anche dagli intellettuali nostrani dal 2017/2018; i populisti rispondono a problemi che esistono… eccetera eccetera: perché è bello sentirsi originali a sciorinare, millantandolo come innovativo, un pensiero voluttuosamente “proibito”.
Eric Zemmour, oltre ad essere candidato all’Eliseo, è anche candidato a divenire il nuovo beniamino dei colonnisti “liberali” italiani che dicono - in sostanza - che (insomma!) non si possono rubricare i fascisti come meri fascisti e gli antisemiti come meri antisemiti (perché dire che 2+2 fa 4 è così terribilmente banale e, dunque, volgare). Ora, il fascismo (non-fascismo), l’antisemitismo (non-antisemitismo) e il razzismo (non-razzismo) di un piccolo ebreo berbero potrebbero essere un nuovo schermo per giustificare posizioni seducentemente disdicevoli e un'occasione per prodigarsi sui giornali in esercizi di stile intellettualissimi, pieni di alte citazioni, di parole altisonanti, di "scorrettezze" assortite in nome di una libertà odiata, ma accortamente usata contro il nemico, che ha imparato a diffidare dell'idolo immondo dello stato sovrano.
Il “problema” di Zemmour, più che di altri esponenti della destra in Europa, è che il “piccolo ebreo berbero” decide di prestare la propria identità etnica e religiosa come parafango politico alle vergogne della Francia e potenzialmente a quelle di ogni identità sovranista. Per rendere meno umilianti, anzi orgogliosamente rivendicabili in società, tutti gli scheletri nazionalisti nascosti negli armadi di qualunque nazione. Tuttavia Zemmour, nell’affermare la propria identità allo scopo di ripulire i fascisti e gli antisemiti, la sfigura e la nega. Zemmour si dice intellettuale, colto e dottissimo, esperto di storia; afferma che la storia è una scienza, ma poi usa una (millantata) cultura per flirtare con neofascisti e antisemiti. Ha detto, come riporta il Guardian, che “non sapremo mai” se Dreyfus fosse veramente innocente. In realtà, dice Zemmour, Dreyfus non fu indagato in quanto ebreo, ma in quanto tedesco (era alsaziano, ma sono dettagli). Oltre a ciò, secondo Zemmour, Petain avrebbe salvato gli ebrei francesi (avrebbe favorito la deportazione solo di quelli stranieri!).
Anche se Zemmour dice agli ebrei francesi di volerli salvare dall’islamismo, non risparmia le vittime dell’attentato di Tolosa del 2012, colpevoli di essersi fatte seppellire in Israele. Quegli ebrei, dunque, non erano veri francesi: la più infida e atavica delle accuse, l’ebreo traditore della patria di cui è ospite. Zemmour crea questa figura mitologica del “vero ebreo francese”, fedele alla patria, che non deve avere legami troppo forti con Israele, salvato da Petain. In un dibattito nel 2016, Zemmour, nel descrivere il clima della Francia negli anni ’30, arriva a sostenere che la grande ondata migratoria di ebrei ashkenaziti dall’Europa dell’Est andava a danneggiare i veri ebrei francesi.
Già Bernard Henri Levy ha sostenuto che Zemmour offende “il Nome”. Dunque, il vero ebreo francese raccontato da Zemmour è un ebreo che deve negare la propria identità, perché essere troppo “ebrei” è un tradimento della nazione francese. “La verità è sempre in esilio” diceva il rav Baal Shem Tov e George Steiner identifica tale citazione come una esemplificazione della parabola ebraica. Ovviamente l’esilio è un tema ricorrente nella mistica e nella tradizione ebraica (a partire dalla “rottura dei vasi” e dall’esilio della Shekinà); Steiner, d’altronde, argomentava di non poter vedere in alcun modo una compatibilità tra nazionalismo ed ebraismo, esaltava la vocazione internazionalista dell’ebraismo, il peso e la libertà di essere liberi da nazioni e patrie e la consapevolezza di dover considerare il forestiero sempre benvenuto (essendo stati una volta forestieri in Egitto). Ma Zemmour sembra scordare tutto ciò, Zemmour si scorda dell’Esodo (parola d’ordine del giudaismo secondo Steiner) e contrappone ebrei francesi e ebrei ashkenaziti.
L’assurdità dell’argomentazione di Zemmour riguardante il caso Dreyfus – “ ci sono le prove che fosse innocente”, ribaltando l’onere della prova - ha il solo scopo di seminare sospetto, con sghemba malizia, ma racconta anche che Zemmour nemmeno si ricorda di Mosè Maimonide. Difatti, il grande filosofo nel suo Sefer Hamitzvot (il libro dei comandamenti) in cui elenca una serie di comandamenti che possono essere desunti dalla Torah, individua, appunto, fra di essi quello di non condannare un innocente. “Ed è preferibile e più opportuno che mille colpevoli siano liberati che un solo innocente venga messo a morte” scrive Maimonide nel XII secolo. È la legge del Signore, fa intendere il filosofo andaluso, che comanda di diffidare del sospetto e della diceria e di affidarsi, in un processo, solo a prove certe.
Dunque, Zemmour si dice francese, ardente innamorato della propria patria, ma diventa “ebreo” apparentemente solo quando deve difendersi da accuse di antisemitismo. Si tratterebbe di codarda ipocrisia se il candidato all’Eliseo si limitasse a ciò, tuttavia Zemmour non si ferma qui. Zemmour si diverte a essere controverso, irriverente, offensivo, scandaloso. Cosa di più beffardo di un ebreo che accusa Dreyfus (un ebreo, un tedesco, uno straniero, una spia)? Di un ebreo che distribuisce indulgenze plenarie a tutti i revisionisti, agli antisemiti, ai razzisti: sembra dirci “poiché io, piccolo ebreo berbero, la penso come voi, come potremmo mai essere accusati di antisemitismo?”. Nel nazionalismo rinnega il proprio nome di ebreo, e lo riutilizza al solo scopo di ripulire teorie antisemite e razziste: ed ora, i vari intellettò, che da sempre flirtano con l’antisemitismo, bramano anche loro la sua assoluzione, per poterci dire che considerare questa destra solo razzista e antisemita è una banalità, che essa è in realtà espressione di una più vasta lotta alle élite e al neoliberismo mondialista e che in testa a questo popolo in rivolta c’è proprio il “piccolo ebreo berbero” Zemmour.
Tuttavia, qualcuno che sa ancora dire che 2+2 fa 4 è rimasto: Haim Korsia, rabbino capo di Francia, ha affermato “Zemmour è certamente antisemita, ovviamente razzista”.