vaccinazione big 

Se la pandemia fosse una guerra, l’Italia la starebbe decisamente perdendo. Mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si avviano verso l’immunità di gregge, nel nostro paese iniziano a montare le rivolte sociali come dimostrato dalle manifestazioni organizzate da #ioapro. Per poter finalmente assicurare le riaperture ed evitare l’escalation di tensione sociale, è imperativo accelerare la campagna vaccinale dando priorità alle categorie più a rischio (cosa finora non fatta perché in Italia la fascia d’età tra i 70 e 79 anni è la meno vaccinata e la penultima in Europa).

C’è dunque bisogno di uno “sforzo bellico” nella produzione e distribuzione del vaccino, sia a livello nazionale che internazionale. Sforzo, secondo molti, impedito dai brevetti che consentono la produzione esclusiva ad alcune case farmaceutiche: aziende che hanno ricevuto ingenti investimenti pubblici e che come nel caso di AstraZeneca, sono anche incapaci di rispettare gli accordi presi.
 La discussione è stata inoltre ravvivata in questi giorni dall’anniversario della scoperta del vaccino antipoliomielite il cui inventore decise di non brevettare il vaccino perché “non si può brevettare il sole”.

Esistono nell’ordinamento giuridico deroghe ai diritti sui brevetti per ragioni di sanità pubblica. La Risoluzione 58.5 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità permette di intervenire durante una pandemia sull’Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale per aumentare la fornitura di vaccini. E lo consente anche il nostro ordinamento giuridico con gli articoli 141, 142 e 143 del codice della proprietà industriale. Sebbene gli argomenti a favore della liberalizzazione dei brevetti siano persuasivi, sia per una questione etica che sanitaria (visto che potrebbero sorgere nuove varianti del virus), la decisione non deve essere presa sulla base dell’emotività.

I brevetti sono solo parte del problema ed eliminarli potrebbe avere serie ripercussioni sui futuri investimenti in ricerca e sviluppo, privandoci cosi di nuove importanti scoperte. Prima di prendere una decisione cosi drastica va dunque cercata una soluzione che tuteli sia il diritto privato che la salute pubblica.

Siamo inoltre sicuri che privare le case farmaceutiche dei loro brevetti aumenterebbe notevolmente la produzione? La produzione di vaccini è un sistema complesso che richiede un’ampia catena di produzione. Sono pochi gli stabilimenti al mondo attualmente capaci di produrre le dosi e vista la complessità del sistema produttivo, è semplicemente impensabile mettere su uno stabilimento dal oggi al domani. Così come richiede tempo e precisione anche il sistema di scongelamento e infialamento dei vaccini.

Bisognerebbe dunque prima fare il possibile per incentivare la cooperazione tra tutte le multinazionali del farmaco e spingere perché le aziende inadempienti cedano, previo equo compenso, su base volontaria i brevetti con un sistema simile al franchising. E d’altronde farlo potrebbe essere nel loro stesso interesse, come per esempio per migliorare la propria immagine. 
Un accordo di questo tipo è infatti già stato avviato da Pfizer con Sanofi e da Moderna con Baxter. Pfizer avrà accesso alle strutture produttive della Sanofi per produrre oltre 125 milioni di dosi del vaccino destinate ai Paesi dell’Unione europea.

È assolutamente fondamentale aumentare la produzione di vaccini e garantire un’equa distribuzione a livello globale, ma la liberalizzazione dei brevetti non risolverebbe inoltre il vero problema che attualmente attanaglia l’Italia e verosimilmente anche i paesi più poveri: la capacità di somministrazione. E infine, per dovere di cronaca: nonostante il vaccino antipoliomielite sia stato scoperto nel 1955 e approvato nel 1962, l’Africa è stata dichiarata dall’OMS libera dalla poliomielite solo lo scorso agosto. I brevetti non sono dunque che una parte del problema.