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È abbastanza evidente che di quello che è successo prima nel bergamasco, poi nell’intera Lombardia portano, in quota parte, la responsabilità tutte le istituzioni che sono state travolte dallo tsunami della pandemia, senza avervi opposto, coi mezzi disponibili, rimedi ragionevoli, ma tentando in primo luogo di impedire che il Covid-19, oltre a travolgere decine di migliaia di vite umane, cancellasse anche presidenti, ministri, assessori e grandi firme della consulenza istituzionale dalla scena politico-mediatica.

Il paradosso è che ci si è presentati disarmati dinanzi al Covid, anche perché i principali attori istituzionali hanno improntato la strategia di difesa (dal Covid-19) alla propria auto-difesa (dagli effetti politici del Covid-19), facendo da subito divampare, accanto al contagio, l’incendio di polemiche e accuse reciproche e una contesa insensata su cosa spettasse a chi e chi dovesse fare cosa.
La Regione Lombardia, che il 21 marzo ha ritenuto di potere decretare il lockdown generalizzato prima del Governo, trascinando poi l’esecutivo nazionale il giorno dopo a questa stessa decisione, oggi sostiene che 15 giorni prima non aveva i poteri per “chiudere” un’area circoscritta della provincia bergamasca.
Il Governo nazionale, da parte sua, dopo avere tollerato nella fase del lockdown ordinanze anche più restrittive da parte delle Regioni (Campania, Lombardia, Piemonte), e averle invece avversate nella fase dello scongelamento, sia dove chiudevano di più (Sardegna), sia dove chiudevano di meno (Calabria), oggi implicitamente riversa sulla Lombardia la responsabilità di quanto è avvenuto a Nembro e Alzano.
È sufficiente questo gioco a rimpiattino per legittimare una uguale sfiducia nel governo lombardo e in quello nazionale, ma non è proprio quanto basta per avviare un’inchiesta per epidemia colposa, che in Italia sembra essersi avviata “naturalmente”, come un “atto dovuto”, come usa dire, come se il verificarsi di un evento catastrofico accanto a prove di colpevole inefficienza politica dimostrasse di per sé tanto il fatto, quanto la responsabilità di un reato, di cui occorre solo decidere chi debba pagare la pena.
La cultura della giustizia in Italia è tutta in questa idea distopica per cui il male è il reato visto dal punto di vista morale e il reato è il male visto dal punto di vista penale. Ma male e reato stanno o cadono insieme. Non c’è male, colpa politica, vergogna civile senza che un reato possa ricomprenderla. Così il reato è postulato come necessario dovunque non solo avvenga una sciagura o una disgrazia, ma dove gli uomini che ne hanno avuto parte non siano stati capaci per meschinità, per ignoranza o per impreparazione di fronteggiarla. In particolare, se qualcuno “muore”, qualcun altro deve pagare. Allora parte sempre un’inchiesta, perché un reato, se non si vede, da qualche parte ci deve essere e allora nascosto alla vista occorre scovare anche il colpevole.
È del tutto comprensibile l’indignazione dei familiari dei morti di Covid-19 che hanno assistito allo spettacolino di ministri e assessori che si rimpallavano gli impegni e le responsabilità mentre i camion dell’esercito portavano via le bare. Ma è ignobile questo spettacolone dell’inchiesta assediata dagli innocentisti e colpevolisti double-face, tutti uniti dall’idea che “qualcuno” deve pagare e che ovviamente qualcuno sia “un altro”. E se l’inchiesta terminasse senza avvisi di garanzia, senza rinvii a giudizio, senza condanne, sarebbero comunque tutti uniti nel blaterare che chi è morto non ha avuto giustizia. Ecco il vero ‘modello italiano’, altro che il lockdown burocratico-poliziesco più stupido del mondo. In Italia l’emergenza o è penale, o non è. O finisce in Procura, con il corollario di soffiate, spiate, veline, intercettazioni pubblicate, e poi – ma è meno necessario – in Tribunale, oppure l’emergenza è come se non ci fosse.

C’è da sperare che la magistratura bergamasca, che ha avviato l’indagine sulla base di numerosi esposti, abbia un’idea della giustizia diversa da quella di chi vuole ora strattonarla a destra e a manca, per consegnarle il proprio colpevole designato.