Facebook non è una questione privata. I dilemmi della ‘politica dei dati’
Diritto e libertà
FB, in termini giuridico-formali, s’intende è “un privato”. Ma bisognerebbe evitare il rischio di rendere tale profilo una qualità apodittica. Quasi che FB non ponesse questioni specificamente rilevanti, proprio per questo suo carattere; e, soprattutto, quasi che non si possano/debbano studiare e attuare interventi politici (giuspubblicistici, di regolamentazione), volti a ridurre lo squilibrio gestorio ed economico-potestativo che FB, Amazon e Google sempre più comportano (ci sarebbero anche Apple e Microsoft, GAFAM, in acronimo planetario, ma una loro pur fugace considerazione, esulerebbe dai ristretti limiti di questa breve annotazione).
L’archetipo, ormai con notorietà proverbiale, è lo Standard Oil Act (giusta la fondata equivalenza socio-storico-economica fra Petrolio e Dati), che nel 1911 suddivise la Standard Oil in 34 aziende.
Era anch’essa un privato monopolista, sul quale si riconobbe prevalente un opposto interesse pubblico alla concorrenza.
Tuttavia, il rimedio per sezionamento dei Big Three Tech, non è ritenuto suscettibile di agevoli repliche.
Infatti, quanto al loro carattere monopolistico, ci sono ormai apprezzabili convergenze di opinione: fondate sul cospicuo squilibrio fra capitalizzazione e fatturato: segno univoco di solide aspettative per ulteriori espansioni, e per il conseguimento di profitti “anormali”, tipici di un monopolio (traggo qui da Enrico Pedemonte, Che fare per difenderci dai monopoli del web?, e lo ha rilevato anche Martin Wolf, sul FT).
Quanto, invece, agli elementi/strumento tradizionalmente tipici del monopolio: 1) lesione degli interessi dei consumatori (prezzi alti) e 2) stallo/regressione scientifico/tecnologica, la situazione è addirittura invertita, rispetto al Modello-Rockefeller: perché i prezzi dei servizi e delle merci offerte sono bassi (quando non gratuiti), e perché in R&D i Tre investono circa 25 miliardi di Dollari l’anno.
Ma ecco il punto. Che potrebbe incidere sulla stessa “soluzione” del problema (le virgolette, s’intende, avvertono della reale complessità e precarietà della parola qui impiegata).
Stante il loro specifico core business (in realtà, come si sa, è una sorta di Nuova Economia), cioè, i Dati Personali, il piano del conflitto privato/pubblico, nel caso dei Social Network, è direttamente quello delle Libertà Fondamentali. Invertendo il classico paradigma marxiano, si potrebbe dire che è la Sovrastruttura ad avvalersi strumentalmente della Struttura.
In termini più immediatamente tecnici, la loro continua espansione verso “Settori Limitrofi” (dal 2001, 85 acquisizioni per Amazon, 120 per Google, FB ha acquistato WA e IG, “fondendo” anche i Dati della seconda, contravvenendo ad una prevedente posizione assunta innanzi la Commissione Europea), in realtà, stabilisce un “governo” monopolistico proprio di quella infrastruttura che dovrebbe essere necessariamente utilizzata da ogni potenziale concorrente, per “entrare” nel mercato, o per restarci.
Vale a dire, è più importante espandersi che fare profitti, nell’immediato: in questo modo, si consolida l’acquisizione dei Dati. Ne viene che l’azione “sottocosto”, “predatoria”, si è opportunamente rilevato, è funzionale e logicamente congruente. I Dati “sono” l’Infrastruttura, poichè un Social, sempre più agisce quale “intermediario necessario” di qualsiasi altro Agente che voglia plausibilmente operare sul WEB, in “interfaccia” con privati.
Osservare, dunque, che FB è “un Privato”, in linea generale, è una posizione culturalmente e politicamente inadeguata, e del tutto retrograda.
Sicché, anche nel caso di Casa Pound, la questione non muta per la ritenuta fondatezza dei rilievi sugli account oscurati (indubbiamente, meritevoli di un rimedio, cioè, di un intervento “farmacologico”, per dirla all’antica). Anzi, si è trattato di un “mi piace vincere facile”, sotto il profilo della legittimità (anche privatistica).
Ma i processi storico-politici illiberali (per “programma” o per “eterogenesi dei fini”, qui poco importa per ora stabilire), muovono o affiorano su “Piani di Giustizia”. Il bello viene sempre dopo (più esattamente, affiorano: perché in effetti non danno l’annuncio, semmai il contrario, se non altro per riservatezza tecnico-aziendale).
Perciò, con la Libertà, conta sempre il “Chi”, il “come” e “il perché”: per definizione, mai “una questione privata”. Profili Account sono stati oscurati (le esperienze vanno da personaggi pubblici ad utenze comuni) pur in pacifica assenza di hate speech, o di contenuti analoghi a quelli fascisti o altrimenti antidemocratici (una criticità fra le molte, attiene al cd Algoritmo di Segnalazione: si organizzano segnalazioni convergenti, “a prescindere”, spesso anonime, e la macchina “provvede”).
Da quanto fin qui brevemente esposto, discende che il “dispositivo antitrust” (inteso come categoria d’analisi, da cui segue la sua configurazione giuridico-istituzionale) appare obsoleto. Si fonda sulla “struttura”, e qui i giochi si conducono sulla “sovrastruttura”.
Le “Uova del Drago” sono l’Algoritmo, con la sua nota capacità/potestà (occorre insistere su questo profilo cripto-giuridico ed essenzialmente politico) di determinare scelte anche minutamente personali: sia sul social (creando affinità comunicative - “l’effetto eco” che, rilanciando come un automatismo proposizioni simili, ne estremizza sempre più l’espressione), sia nei consumi “esterni”; di incidere sulle tradizionali Istituzioni (Elezioni); di alterare la stessa facoltà cognitiva (“realtà virtuale” e “realtà aumentata”), e così via.
La questione, allora, è poter stabilire una “Politica dell’Algoritmo”. Siamo all’alba di quello che serve. Tanto che finora, ovviamente in sede sovranazionale (anche europea), è bastato rispondere, in sostanza, che “è troppo difficile da spiegare”: perciò, non si può governare in senso proprio. I Big per sé, e l’Algoritmo per tutti.
A ben vedere, la radice di questo Potere è proprio la dimensione (Marcuse non era certo uno stupido: il guaio sono sempre le mode).
C’è un cospicuo precedente, a volerlo vedere: di un Potere globale e capillare che si poté esercitare a partire non, semplicemente, da una dimensione “privata”, ma, addirittura “intima”: e fu il dominio inquisitorio della Chiesa di Roma. C’è bisogno di indugiare sulla qualità programmaticamente “interiore” della “dimensione social”?
Le parole comandano sempre: Concili, guerre per i concili, università, principati, regni, corti, cortigiani, consiglieri: tutti, entro il perimetro del “controllo sulla parola”.
Occorre, pertanto, considerare una prospettiva “luterana”, per porsi rispetto alla vastità della questione Potere-Parola-Potere sulla parola, in termini non suicidi, o appagati di uno zuccherino politico, in sè immediatamente intellegibile, ma, capace di svelarsi, nei sempre imprevedibili (?) Giri di Valzer della Storia, un obliquo Capro Espiatorio.