Olga russia

Dmitry Prokazov e la moglie Olga sono stati indagati dalla procura di Mosca e rischiano di perdere i diritti genitoriali. La loro colpa è stata quella di avere portato il loro figlio di un anno alla manifestazione che si è svolta sabato 27 luglio nella capitale russa per protestare contro l’esclusione, giudicata arbitraria, di molti candidati di opposizione alle elezioni locali che si terranno a settembre. In questo periodo ogni sabato a Mosca si svolge una manifestazione del genere: sono tutte non autorizzate e sia le forze dell’ordine sia gli investigatori fanno leva su questo per arresti di massa e, ora, anche per indagini sul filo dell’uso democratico della coercizione.

La lettura del comunicato della procura mette in luce questo atteggiamento intimidatorio. Viene evidenziato, ad esempio, che il padre non ha diritto di voto alle elezioni in questione perché ha solo «una registrazione temporanea a Mosca», ovvero presumibilmente ha il domicilio ma non la residenza. In un qualunque contesto pienamente democratico nessuna forza investigativa si domanderebbe per quale ragione una persona adulta partecipa ad un corteo; è anzi pacifico che vi prendano parte sia persone direttamente interessate sia persone che solidarizzano perché condividono la piattaforma della manifestazione. A Mosca, per il procuratore, diventa una questione dirimente, meritevole di essere segnalata in un comunicato stampa.

La vicenda pare intricata: la procura accusa la coppia di avere affidato il bimbo a una terza persona, durante il corteo, mettendo «in pericolo la salute e la vita» dell’infante. Si sa però che questa terza persona non è altro che un parente, accusato dalla procura di essere tra gli organizzatori del corteo, a cui i due genitori non hanno effettivamente preso parte, a loro dire, ma si sono soltanto incontrati con il parente che si è preso cura del bimbo per qualche quarto d’ora.

Per avere portato il figlio a una “manifestazione non autorizzata” e averlo affidato ad una terza persona, ora la coppia rischia quel che si è detto: che il figlio venga loro strappato per sempre. D’ora in avanti i russi devono prestare molta attenzione prima di affidare i propri figli alle cure dei nonni o degli zii, magari perché decidono d’espatriare per cercare fortuna, o anche solo per qualche ora: la procura di Mosca è in agguato contro di loro. Naturalmente la decisione non è ancora stata presa; per ora sussiste solo l’atto d’accusa.

Nella stessa giornata di sabato 27 luglio, la 17enne Olga Misik, che fa parte di un collettivo indipendente di giovani oppositori “senza leader”, Bessrochka, è andata alla manifestazione portando con sé il libro della Costituzione russa e ha iniziato a leggere alcuni articoli davanti ai poliziotti in tenuta antisommossa, finché non è stata notata e fotografata da alcuni operatori dell’informazione. Poco dopo, alcuni agenti l’hanno catturata e, poiché lei opponeva resistenza all’arresto, trascinata via; in quel frangente un poliziotto le ha strappato di mano la Costituzione. Lo mostra chiaramente un video diffuso su internet e diventato virale dopo qualche giorno.

Il sabato successivo, il 3 agosto, durante la manifestazione successiva, Olga è stata nuovamente arrestata; questa volta aveva partecipato al corteo, sempre con la Costituzione in mano, senza leggerla ad alta voce, ma esibendola orgogliosamente. A un certo punto, secondo il suo stesso racconto, ha visto arrivare di corsa verso di sé alcuni uomini con il volto travisato. Si è messa a correre e poco dopo è stata catturata «perché era scappata dai poliziotti». Piuttosto subdolo farti rincorrere da persone non riconoscibili come “tutori dell’ordine” e poi arrestarti perché scappavi, ma è andata esattamente così.

Olga, giovanissima, lucida, determinata, è diventata velocemente un simbolo universale di lotta nonviolenta e molti hanno visto un parallelo, ma anche alcune differenze, con la storia e l’azione di Greta, che era riuscita in poche settimane a mobilitare il mondo intero su una piattaforma programmatica ecologista. Rischia di diventare, al pari di Greta, un “personaggio” da “sbandierare”, eppure se si leggono i suoi interventi (come il racconto del secondo arresto) si ha l’impressione di una giovane donna già adulta nei ragionamenti, nella consapevolezza delle conseguenze delle sue azioni, nella determinazione anche politica, ma innanzitutto prepolitica, delle sue scelte.

I fatti di Mosca degli ultimi due sabati (e ci sono tutte le premesse perché il copione si ripeta il 10 agosto, giornata per la quale è stata indetta una terza manifestazione) dimostrano un chiaro tentativo di negare un diritto basilare in un regime democratico, quello di manifestare la propria civile protesta di fronte a una decisione dell’autorità con cui non si è d’accordo. Non autorizzare un corteo di disaccordo su una decisione che, tra l’altro, si pretende sia puramente amministrativa e per niente politica (questioni legate al numero di firme per presentare il candidato alle elezioni) è quanto di più lontano dagli standard democratici occidentali.

Abbiamo fatto due esempi che vorremmo essere lampanti, quello dei coniugi Prokazov e di Olga, ma potremmo citarne altri: il giornalista olandese “preso nel mucchio”, la 70enne catturata perché filmava con un telefonino, persone sedute a parlare sulle panchine della zona della manifestazione finite in commissariato per qualche ora, ragazzi manganellati mentre erano fermi seduti per terra e così via. I freddi numeri parlano di 1.500 fermati sabato 27 luglio e più di 1.000 sabato 3 agosto, con uno spiegamento di forze impressionante per reprimere manifestazioni che in un qualunque Paese democratico si sarebbero svolte senza alcun problema.

Per dovere di completezza dobbiamo brevemente accennare al “casus belli”, cioè la presunta assenza di firme sufficienti per presentare i candidati di opposizione. Molte testimonianze affermano il contrario: le firme erano state raccolte e regolarmente presentate. In un distretto, per esempio, ne occorrevano 6 mila (mentre per ottenere un consigliere eletto occorreranno circa 12 mila voti) e un candidato ne ha presentate proprio 6 mila dopo averne raccolte oltre 7 mila, ma non è stato ammesso alla competizione elettorale. In Italia il tema della raccolta di firme per presentare candidature alle elezioni è scottante: seguire pedissequamente le norme che regolano la raccolta significa imbattersi nel proverbiale “ufficio complicazioni cose semplici”. Ma proprio per questo dovremmo, noi italiani, essere sensibili in particolare sulla questione della legittimità democratica di elezioni a cui di fatto vengono esclusi, per motivi pretestuosi quando non per abusi di potere, candidati sgraditi a chi governa.

Gli arresti indiscriminati della polizia russa durante le manifestazioni non autorizzate di Mosca dimostrano una volta di più che la Federazione Russa non è ancora un paese con standard democratici adeguati al pluralismo politico che per noi è abituale. Alcuni politici italiani, notoriamente ammiratori espliciti del “sistema” russo e dei ponti verso la Russia (non ultimo l’aver riammesso la delegazione parlamentare russa all’assemblea parlamentare dell’Osce, con voto compatto - ahimè - di tutta la delegazione italiana tranne un astenuto del Movimento 5 Stelle), dovrebbero essere pubblicamente chiamati ad esprimere un parere su quanto sta avvenendo a Mosca in queste settimane. Ed invece sembra che da Roma costi fatica stigmatizzare gli avvenimenti, contrariamente ad altri governi e ambasciate europee che, invece, non hanno avuto alcun timore (reverenziale?) nella ferma condanna degli arresti indiscriminati.