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Il caso di Nadiya Savchenko, ex pilota dell’esercito ucraino e attualmente deputata nel parlamento del suo Paese, il 9 marzo ha fatto il giro del mondo grazie ad una giornata di mobilitazione internazionale indetta per chiedere la sua liberazione. Catturata il 17 giugno 2014 nella regione di Lugansk con l’accusa di avere partecipato ad un attacco che provocò la morte di due giornalisti russi, è stata trasportata in una prigione della Federazione ed è ora sotto processo. Ci sono prove che l’arresto venne eseguito un’ora prima dell’attacco, tanto che non soltanto gli ucraini “della diaspora” ma anche i governi occidentali e l’Unione Europea considerano a tutti gli effetti “politico” il processo a Savchenko e ne chiedono la liberazione.

Lei – nel frattempo – ha scelto la linea dura dello sciopero della fame e della sete, anche se il 10 marzo, il giorno dopo l’ultima udienza del processo, ha deciso di sospenderlo in attesa di una sentenza che dovrebbe arrivare entro sette giorni lavorativi, ripromettendosi però di riprenderlo se questo termine non venisse rispettato dai magistrati.

A cavallo delle due giornate c'è stato anche un giallo istituzionale intorno ad una lettera firmata dal presidente ucraino Petro Poroshenko, nella quale il leader si dichiarava pronto a effettuare uno scambio di prigionieri (Savchenko per due russi detenuti in Ucraina): poi la rivelazione che si trattava di un falso, anche se sembra che Poroshenko possa avere – a voce – pronunciato quella intenzione. A questo proposito Savchenko – nella lettera del 10 marzo in cui annuncia l’interruzione della lotta nonviolenta – si raccomanda che «la vita di una persona non ne vale due, perciò lo scambio si fa o tutti per tutti o un’anima per un’altra anima».

Che Nadiya Savchenko rappresenti di fronte al mondo l'evidenza della vera natura del regime putiniano in Russia, l’aveva spiegato bene Olivier Dupuis, che conosce la pratica nonviolenta dello sciopero della fame e anche la realtà della Russia putiniana, delle sue carceri, del suo sistema di diritti: «L’azione nonviolenta presuppone nell’interlocutore la capacità di intendere la verità conclamata dalla persona che persegue l’azione», scriveva su Strade in una lettera aperta indirizzata alla giovane pilota. E in Russia non pare vi sia questa capacità. Lo stesso processo lo dimostra, con diverse testimonianze e prove a favore di Savchenko non ammesse dalla corte.

E l’epilogo del processo a Nadiya Savchenko ha fornito un’altra dimostrazione di quanto l’intero sistema russo (giudiziario ma anche politico) sia lontano anni luce dai principii democratici come sono da noi conosciuti. Ai nostri occhi la salute di un detenuto vale quanto quella di chiunque altro, e più dei suoi presunti crimini o del suo comportamento. Non è così agli occhi di Sergej Lavrov, ministro degli esteri russo, che (secondo quanto riferito da Russia Today, fonte “amica” del Cremlino), in una conversazione telefonica con l’omologo ucraino Pavlo Klimkin ha motivato il diniego a consentire che medici ucraini visitassero Nadiya Savchenko con il suo “gestaccio” rivolto ai giudici: il dito medio universalmente comprensibile. «La provocazione di Savchenko e i commenti ingiuriosi verso la corte il giorno 9 marzo hanno (..) reso impossibile questa visita», ha affermato Lavrov.

La richiesta di essere visitata da medici di cui si fida, che sembra essere la minima garanzia umanitaria agli occhi di un occidentale, diventa merce di ricatto politico nel momento in cui viene affidata ai vertici russi. Che, forse, speravano fino all’ultimo che Savchenko arrivasse al giorno dell’udienza talmente debilitata da non potervi partecipare – e dunque non poter gridare al mondo intero, nonostante in aula vi fossero solo telecamere di tv allineate al Cremlino, le ragioni della sua lotta nonviolenta.

Ma l’ex pilota è stata più forte e, mentre il mondo libero si mobilitava con manifestazioni in suo favore, spiegava davanti ai magistrati: «Volete mostrare la vostra forza, mostratela ma ricordate che giocate con la mia vita. La posta in gioco è alta ed io vincerò. Non ho nulla da perdere. Continuerò lo sciopero della sete se la decisione sarà presa più tardi di una settimana. Ci sarà Maidan anche in Russia! Voglio mostrare con il mio esempio che il regime totalitario in Russia può essere piegato».

Intanto, da 57 parlamentari europei è arrivata la richiesta di sanzioni personali nei confronti di Vladimir Putin e di altre 28 persone direttamente coinvolte nel caso Savchenko, come risposta alla sua cattura e al trattamento che le viene riservato. Le istituzioni comunitarie e di diversi Paesi occidentali hanno recapitato richieste ufficiali di liberazione al Cremlino. Si sceglie, insomma, di non recedere dalle proprie posizioni, anche se un atto unilaterale sembra assai improbabile: secondo molti, l'unica strada effettivamente percorribile sarebbe quella dello scambio.