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Appare sempre più probabile, negli ultimi tempi, un consolidamento dell’alleanza sovranista. Dopo The Movement di Bannon, recentemente Salvini è volato in Polonia da Kaczynski per, pare, dare il via a un fronte comune in vista delle europee. La retorica che accomuna Bannon, Salvini e Kaczynski, ma anche la Le Pen, è quella di una missione per salvare l’Occidente - l’Occidente cristiano - da una pericolosa invasione e dal suo conseguente, ai loro occhi, snaturamento nonché dalla sua prossima dissoluzione.

Qualcosa di simile sembra paventare anche Orban, che però sostiene di difendere la “democrazia illiberale cristiana”. Già il fatto di difendere l’Occidente in nome della democrazia illiberale è paradossale, ancora più incongruente è certamente la simpatia che Salvini e molti suoi amici provano per Putin.

Da Putin e dal Cremlino, infatti, arriva un attacco esplicito all’Occidente. Dugin - filosofo russo considerato uno degli ideologi di Putin e che si pensa abbia incontrato Salvini più volte - in un’intervista di ottobre rilasciata alla Rai elogia proprio la “democrazia illiberale” che, a suo parere, ha al centro un soggetto collettivo e critica, invece, il “terzo totalitarismo liberale” che, al contrario, avrebbe come soggetto di riferimento l’individuo assoluto. Viene da pensare che per Dugin la libertà, i diritti siano quasi semplici capricci, corbellerie, privi di un carattere universale, meramente culturali.

Il “cervello di Putin” (come Dugin è stato definito da Foreign Policy) sembra profilare nel suo discorso il pregiudizio che identifica nell’individualismo un frivolo, egoistico capriccio. Il filosofo afferma che proprio l’indipendenza e il potere dello Stato sono condizioni necessarie per la libertà: si definisce, così, una concezione collettiva e viziata di libertà, riferita non all’individuo, ma alla nazione o alla comunità.

Il ragionamento di Dugin è simile, in qualche modo, alla concezione dei sovranisti e dei populisti di casa nostra, concezione che, con le dovute differenze, è propria anche di una certa sinistra. Si vuole, in altri termini, far apparire che il considerare centrali gli interessi della comunità, dello Stato, del bene pubblico, della società, della nazione, del popolo, fino ad arrivare a quelli della religione o, addirittura, della razza sia molto più nobile e profondo rispetto al ghiribizzo individualista liberale. E tale visione, come Dugin non nega, al contrario dei suoi amici al di là degli Urali, è estremamente antioccidentale.

«Io non riesco a credere in niente che sia … - più vasto delle quattro pareti domestiche, o che sia -… più vago di un essere umano» così afferma l’uomo all’Avana di Graham Greene. Questa, anche se probabilmente non era l’intenzione dell’autore, a parere di chi scrive, è la migliore definizione di ciò che l’Occidente è e rappresenta: l’idea nuova e travolgente che al centro della politica, della società, non ci sia lo Stato, la comunità, la nazione o qualcosa di più vago o indefinito, ma l’individuo.

Se credere implica l’accettazione a-razionale di qualcosa, “credere” nello Stato, nella Nazione, o nell’accorpamento collettivo di turno, ne comporta l’ammissione acritica e, quindi, una concezione assolutistica (di conseguenza invasiva). Se, al contrario, si considera come assioma, come punto fermo l’uomo, lo Stato non è più assoluto. È fallibile.

“Credere” nell’uomo - inteso non come concetto astratto, ma come concreto essere umano - è accettarne aprioristicamente l’inviolabilità (e non l’infallibilità, perché le singole infallibilità verrebbero a confliggere). Dopo che si è posto l’assioma dell’uomo (per definizione indimostrabile), ne conseguono, in una costruzione, al contrario, razionale, significativi corollari. Dall’inviolabilità dell’individuo discende lo Stato di Diritto. L’ordinamento giuridico, sociale e politico che mette l’individuo al centro è esattamente quello dello Stato liberale. In una parola: i diritti e le libertà dell’individuo non possono essere sacrificati per la presunzione di un bene superiore, di un’assolutezza in realtà fallibile.

Proprio da tale concezione discende la democrazia liberale: i governanti sono fallibili e, quindi, non devono avere il potere di compromettere l’integrità dei diritti e delle libertà individuali e, per questo è necessario che siano sottoposti a un vaglio (le elezioni) e ai limiti dei pesi e contrappesi dello Stato liberale. Considerare, al contrario, al centro della società e della politica qualcosa che sia presumibilmente più importante, ma che è più vago, di un uomo (la nazione, la comunità, lo Stato od altro) porta alla legittimazione, in nome di una presunta efficienza, non solo di norme e leggi illiberali, ma finanche di regimi del tutto autoritari.

Ed ecco, in questo senso, la retorica dell’emergenza: a un pericolo (o presunto tale) imminente può corrispondere una limitazione delle libertà o dei diritti per conferire allo Stato i poteri adeguati per affrontare la minaccia. Nella logica emergenzialista rientra a pieno titolo il catastrofismo alla Salvini e alla Orban sull’immigrazione e sull’invasione, ma anche la retorica forcaiola dei 5 stelle e di Bonafede (e di tutta una tradizione giustizialista a loro precedente) su corruzione e mafia.

Si può dire, quindi, che l’attuale governo gialloverde è anche antioccidentale in quanto fautore di un certo tipo di giustizia, di una cultura della gogna, come abbiamo potuto notare anche recentemente, di una giustizia che sembra si voglia sempre più far coincidere con una sorta di autorità morale e moralizzatrice. In questo modo si va verso la convergenza tra crimine e peccato, o addirittura tra colpevolezza e indole naturale. Tale concezione della giustizia vede al centro lo Stato, la sicurezza o, addirittura, appunto, la morale e i costumi, non l’uomo, l’imputato e i singoli eventi da analizzare.

Così si trascura qualunque principio del Diritto. Qualsiasi progresso dell’Occidente in merito, a partire dall’habeas corpus (Salvini ha recentemente giustificato, a prescindere, la polizia per la morte di un tunisino, avvenuta in sua custodia) fino all’Illuminismo fino a Manzoni, è irrilevante.

La battaglia sovranista è, quindi, la difesa di un Occidente nominale, di qualcosa di estremamente vago ed ideologico, privato di ogni suo contenuto, un Occidente nominale che di fatto va contro l’Occidente reale. Non deve sconvolgere, dunque, l’alleanza della Lega sovranista con il Movimento5stelle che ha spesso avuto posizioni antioccidentali, attaccando con grande veemenza la principale democrazia del Medio Oriente (Israele), auspicando un’uscita dalla Nato e inneggiando all’Alba, a Cuba e al Venezuela.

L’ideologia dei difensori dell’Occidente nominale, per cui il principale pericolo sarebbe l’invasione, rivela anche una concezione claustrofobica, quasi meramente e puramente geografica dell’Occidente. L’Occidente sarebbe, in realtà, più snaturato da queste ideologie ora predominanti, che dalla presunta invasione degli “altri”. Chi migra per la libertà, chi migra per sfuggire alla fame, chi migra per una vita migliore, ma anche chi migra per uno smartphone è sicuramente più occidentale dei cupi odiatori dell’uomo, dei collettivizzanti ideologici.

La vita, la voglia di vita, la voglia di benessere dei ragazzi che attraversano il Mediterraneo o di quelli che si affollano sulla frontiera meridionale degli Stati Uniti è la stessa dei ragazzi che abbattevano il muro: «la mareggiata che ha travolto il muro di Berlino e si è propagata fino a Praga e all’Oceano Pacifico urla di vita. È l’insurrezione dei giovani, anche se hanno ottant’anni. Il tuo dogma, la tua tirannia dell’ideale, hanno prosciugato la gioventù dagli uomini… E se l’America è infantile, e forse lo è, che difetto fortunato! Fontana di giovinezza? La speranza dei conquistatori si è forse trasformata in Coca-Cola. Ma frizza!» (George Steiner “Il correttore”)

I ragazzi che migrano, ragazzi che Salvini e Bannon considererebbero indegni ed estranei culturalmente alla libertà e all’Occidente, sono non solo più occidentali di loro, ma anche prova che la libertà, oltre ad essere prerogativa inalienabile dell’uomo, è l’idea più dirompente che ci sia.

La guerra per la difesa di un vuoto simulacro puramente retorico, simulacro che viene innalzato contro tutto ciò che c’è di più occidentale (non solo contro lo Stato di Diritto, ma anche contro la globalizzazione e il consumismo) è espressione soprattutto di un Occidente alienato, che rinnega il suo essere, le sue conquiste per ritornare nel dogmatismo della società chiusa.

La voce di Bannon e Salvini in difesa dell’Occidente nominale è, in realtà, una forma di masochismo ideologico, che rende, per il condiviso odio per l’individuo, i due leader sovranisti molto simili agli estremisti islamici. Estremisti, sulla cui paura si basa la retorica dell’invasione.