Ovadia ghiaccio

La Lega e il Movimento 5 Stelle vengono spesso accusati di essere occasionalisti, movimenti organizzati per la conquista del potere, pronti a mutare obiettivi e metodi per conservare ed aumentare il consenso.

Gli stessi Salvini e Di Maio si rappresentano come leader non ideologici, né di destra né di sinistra, sismografi delle turbolenze popolari contro le élite e i privilegi. In questo rivendicato interclassismo dell’uomo qualunque consiste la fonte del loro successo elettorale: un consenso nel quale coesistono – e il paradosso non nuoce, per il momento, al Governo - tanto l’operaio precoce in attesa di “quota 100”, quanto il giovane inoccupato convertito al mito del reddito di Stato e pure l’imprenditore vittima di Equitalia (che non esiste più) e che agogna la flat tax.

Il punto centrale è il Potere/Popolo (la sovranità) rappresentato come indifferenziato, ridotto ad un fattore facilmente traducibile come autentico e vero. Il punto d’attacco della questione è, quindi, qualcosa più dell’idea o del progetto: è il Valore.

Carl Schmitt, in un celebre saggio del 1960, La tirannia dei valori, mise in guardia giuristi e filosofi sul rischio della valorizzazione delle virtù, sulla riduzione del bene e della dignità della persona lungo una scala facilmente misurabile, appunto, di valori. La sistemazione per punti e posizioni di valori “materiali e oggettivi”, infatti, porta con sé la svalutazione di ciò che è escluso dalla prospettiva e la sottoposizione dei valori in coda a quelli superiori e al valore supremo.

Questo è pericoloso in ambito giuridico perché tale materializzazione nella dottrina dello Stato apre la questione di giustizia circa il cosiddetto “effetto su terzi” (Drittwirkung) e la validità immediata dei valori nel diritto e nella società, senza l’assennata mediazione del giuridico che ha luogo solo all’interno di ordinamenti concreti, attraverso forme, leggi e sentenze. Il rischio, quindi, è quello cedere all’illusione della “guerra giusta”, nell’ambito della quale ogni riguardo nei confronti del nemico (impopolare) viene a cadere: tutte le categorie giuridiche di contenimento della violenza e di giusta misura dei mezzi vengono infatti a cedere quando sono in gioco i valori supremi.

Valori che, per loro natura, valgono in quanto vanno fatti valere, in quanto vengono posti e imposti nel rispetto del punto di ubicazione all’interno della scala. Non hanno un essere ma una validità. Lo stesso Dio – un possibile valore supremo – è anzitutto un valore politico cui viene assegnato un posto nel sistema e ciò perché nessun ordine di valori può riconoscere un principio, un’idea, una dignità che non sia un valore. E, per tanto, in tale contesto, Dio - ma anche la Persona, la Giustizia o la Libertà - può senz’altro essere il valore supremo e, allo stesso tempo, niente di più di questo, niente di davvero reale. Un artificio per ottenere consenso e ordine.

La carica aggressiva di questo ragionare per valori (atteggiamento divenuto normale e addirittura popolare con la diffusione delle opere di Nietzsche) si svela proprio in questo “porre ed imporre” nonostante – e forse soprattutto - la pluralità e le ambivalenze dei valori. Ciò che può sembrare apparente neutralità relativistica è invece l’evidenza nichilistica e violenta della collocazione delle idee, dei principi, dei beni, delle virtù, su binari di posizione escludenti.

Nessuno, infatti, può valorizzarsi in cima alla scala senza svalutare, rivalutare, dichiarare ostilità. E proprio per questo il vecchio giurista cattolico Schmitt, con riferimento a Max Scheler (il grande filosofo tedesco e maestro della teoria oggettiva dei valori) richiama il celebre motto giacobino secondo il quale la virtù deve dominare con il terrore. Ecco, chi in maniera spregiudicata tende a convertire in valori esclusivi - di movimento, di partito, di popolo – i fondamenti dell’esistenza teologica, filosofica, giuridica e politica, accelera il processo di neutralizzazione.

Giustificando il fatto che il valore annienta il non-valore accetta, infatti, la massima secondo la quale – in spregio a promessa, accordo, compromesso e forme – il fine giustifica i mezzi. Potere e Popolo, dicevamo, ma anche italianità etnica, onestà, rifiuto delle mediazioni formali, sovranismo, anarchismo fiscale, paternalismo caritatevole, luddismo, credulità anti scientifica, rappresentano una trasvalutazione di valori che impressiona per la duttilità e motilità di un posizionamento contingente che si misura sulla necessità – di Di Maio e di Salvini - di non farsi scalzare “dall’altro” sul terreno della guida del processo in atto. 

E per questo, a me pare, il recentissimo neo accordo su un decreto di semplificazione fiscale approvato e prontamente rinnegato a seguito dei mugugni della base svela – al di là dei contenuti – la battaglia ideologica in corso tra Leghisti e Grillini. Svela la posizione in scala di uno specifico e alternativo valore/disvalore: è più populistico oggi sostenere un condono o opporvisi?

Studi, verifiche, proiezioni economiche, ragionamenti di lungo periodo, complessità, l’etica della virtù e della legge, tutto passa in secondo piano allorquando si presenta fortissima l’occasione di accumulare ancora consenso facile, vero oro e capitale del demagogo di successo. La stessa soluzione temporanea di un Consiglio dei Ministri approntato di fretta e furia per cancellare le norme più controverse e per scaricare sul Parlamento in sede di conversione la patata bollente, in modo da consentire ad entrambe le forze politiche di vendersi il risultato, impone a tutto il Paese un altro valore sulla scala giallo-blu: quello della conservazione spregiudicata di un potere conquistato e a lungo agognato.

La trappola e l’inganno del né di destra né di sinistra si svela, quindi, per quello che è: il tentativo finora riuscito di simulare un inesistente cambiamento mentre, dietro la finzione del neutralismo, è in corso la guerra premoderna tra confessioni religiose esperte nella riduzione dell’avversario ad eretico, nel contesto di un perenne e tumultuoso concilio armato.