La banalità del male di Matteo Salvini
Diritto e libertà
Sbaglia Roberto Saviano ad accusare Matteo Salvini di provare piacere vedendo bambini innocenti annegare: il "male" che Salvini rappresenta non è sadico, è banale (prezioso insegnamento di Hannah Arendt), e si manifesta nell'indifferenza alla sospensione routinizzata, istituzionalizzata dei diritti umani. Certo, rispetto all'indifferente qualunque, colpevoli tanto quanto Salvini – e "indifferenti qualunque" - lo siamo tutti, in una certa misura: i posteri si chiederanno perché l'opinione pubblica tacque al cospetto dei centri di detenzione libici pur stigmatizzando, nella letteratura e nella cinematografia, i lager tedeschi e i gulag russi.
Rispetto all'indifferente e allo xenofobo qualunque, Salvini ha la colpa ulteriore di aver sdoganato e capitalizzato elettoralmente gli umori "cattivisti" di parecchi italiani, continuando a radicalizzarli perfino dalla poltrona del Viminale con provvedimenti-spot e boutade francamente squallide ("crociera", "pacchia" ecc).
Nella fattispecie, la "cattiveria" dell'italiano tipico si manifesta, sul piano politico-elettorale, con la domanda di repressione (non con quella di sicurezza, che ne è la versione politicamente razionale e, in un'ottica liberale, legittima), di giustizia retributiva, di pene esemplari. È l'Italia piccolo-borghese – la piccola borghesia rappresentò la base sociale di massa del fascismo – che non trae soddisfazione dalla morte per annegamento di un novenne di colore, ma probabilmente ne trarrebbe dalla mutilazione pubblica, magari trasmessa in una rete generalista, di un diciannovenne nigeriano dichiarato colpevole di scippo.
Lo stesso italiano che commenterebbe con "giustizia è fatta, che sia da monito" una simile barbarie, ignorando peraltro gli studi sull'efficacia dissuasiva delle pene esemplari cosiddette (oltreché, ovviamente, i principi fondamentali di tutte le costituzioni occidentali), cercherebbe di eludere la sanzione giuridica di un illecito, magari più grave di uno scippo, commesso da lui o da qualunque altro componente della sua famiglia. Com'è noto, infatti, in Italia è la famiglia, non la nazione, il soggetto esclusivo della fenomenologia sociale; al netto di quello risorgimentale, che ne fu l'unica manifestazione autentica (e non per nulla la meno popolare), il patriottismo italiano è sempre stato una finzione: «prima gli italiani!» è solo la versione socialmente presentabile di «prima i miei figli!».
Certo, c'è anche la domanda di sicurezza dei "penultimi" che abitano in quelle periferie da qualche anno presidiate dagli "ultimi" (gruppi di extracomunitari che alimentano le file della microcriminalità), ma l'entità del fenomeno non è neppure lontanamente sufficiente a spiegare, in termini quantitativi, il successo plebiscitario della destra sovranista e antiestablishment. Allo stesso modo, il refrain di una specie di ultra-liberalizzazione del porto d'armi e del potenziamento della legittima difesa interesserà (spesso a ragione) parecchi gioiellieri e qualche padre di famiglia nostalgico del comunitarismo pre-moderno à la Mauro Corona, ma non è stato il cavallo di battaglia che ha scaldato i cuori degli elettori giallo-verdi.
In linea di massima in Italia non si chiede, come in America, di privatizzare la sicurezza (l'americano "suburbano" tipico vuole sottrarre allo stato perfino il monopolio della forza legittima di weberiana memoria) ma, al contrario, una sorta di militarizzazione integrale – altra geniale intuizione di Mussolini –, purché l'onda d'urto repressiva che ne consegue sia eludibile da me e i miei cari.
L'italiano medio, dunque, non è né nazionalista né ferocemente razzista – sarà, al più, xenofobo – semplicemente "tiene famiglia" e ha un bisogno essenziale del capro espiatorio cui addebitare le conseguenze della mediocrità propria e di quella dei parenti che non riesce a far cooptare in qualche municipalizzata: e così, sull'altare della repressione "esemplare" si sacrifica sempre l'extracomunitario (che ha il profilo perfetto per essere additato quale reo oltre ogni ragionevole dubbio). E magari pure il consigliere regionale baby pensionato, poco importa se supportato sino all'altro ieri.
Urlare «al mostro! al mostro!» come fa Saviano, puntando l'indice contro chi ha capito con quale storytelling conquistare la "maggioranza silenziosa", è controproducente (…un ex antiberlusconiano dovrebbe sapere che demonizzando l'avversario gli si fa un favore). Il male, lo si ribadisce, è banale, quello made in Italy anche piccolo-borghese e familista.