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La “definizione agevolata delle controversie tributarie”, contenuta all’art. 11 del d.l. n. 50/2017, prevede la facoltà di chiudere le liti fiscali pendenti corrispondendo l’intero tributo richiesto, a fronte della cancellazione integrale di sanzioni e interessi moratori. A caldo, la stessa si presta a tre ordini di riflessioni.

La definizione delle liti può anzitutto essere vista come un provvedimento correttivo, per certi aspetti necessitato, che completa l’ambito di operatività della rottamazione delle cartelle, introdotta dal d.l. n. 193/2016. Quest’ultima, se riferita a pretese oggetto di opposizione, poteva infatti implicare l’estinzione di un processo in corso, ma soltanto quando vi fosse un “carico” affidato ad Equitalia, mancando altrimenti l’oggetto della “rottamazione”.

Identiche situazioni sostanziali rischiavano così di ricevere un trattamento differenziato, in ragione di un elemento accidentale, ovvero del concreto procedere della riscossione in pendenza di giudizio, che come noto dipende dal tipo di atto impugnato e dagli esiti provvisori della causa. Ad esempio, una lite originata dall’impugnazione di un avviso di accertamento, con sentenza di primo grado o di appello favorevole al contribuente, non implica l’affidamento di alcun “carico esattoriale”, dunque non poteva essere chiusa avvalendosi della “rottamazione”. Tuttavia, l’intento di rimediare a manchevolezze e contraddizioni delle norme sulla rottamazione rischia di introdurre ulteriori distorsioni a catena, con futuri effetti negativi sulla stessa funzionalità del processo, come tra un attimo vedremo.

La definizione delle liti può essere in secondo luogo esaminata per gli effetti sul gettito e sul funzionamento della giustizia tributaria. La relazione tecnica stima un’entrata di 400 milioni di euro, estrapolandola dalla “maggiore imposta accertata in contestazione” non affidata all’Agente della riscossione, così confermando la residualità della “definizione delle liti” rispetto alla rottamazione delle cartelle, di cui la prima costituisce una sorta di completamento.

Mancano invece indicazioni e stime sul numero di liti che saranno prevedibilmente “definite”, ma qualunque sia l’impatto nell’immediato, gli effetti di medio periodo su compliance e propensione alla litigiosità rischiano di essere avversi. E veniamo, con ciò, al terzo elemento di riflessione.

La nuova definizione delle liti ha caratteristiche peculiari, che la differenziano da passate esperienze. Diversamente da quanto accadeva con la definizione di cui alla L. n. 289/2002, in particolare, non vi è infatti alcuna graduazione dell’importo da pagare in funzione del provvisorio esito del giudizio. Forse l’intento è quello di evitare disallineamenti rispetto alle modalità di definizione dei debiti tributari contemplate dalle norme sulla rottamazione (versamento integrale dell’imposta iscritta a ruolo a fronte della cancellazione di sanzioni e interessi), però è singolare che si debba sempre pagare integralmente il tributo, anche quando sia intervenuta sentenza di annullamento della pretesa erariale, o all’opposto che siano abbuonate interamente le sanzioni in caso di sua conferma in giudizio.

In questo modo la legge produce effetti premiali correlati inversamente al grado di fondatezza delle ragioni del contribuente, per come le stesse sono state oggetto di provvisorio riconoscimento giudiziale. Rischiano così di essere definite “a sconto”, con risparmio di sanzioni e interessi, proprio le cause più indiziate di chiudersi con una vittoria erariale.

Avrà infatti più convenienza ad avvalersi della definizione agevolata chi ha presentato un ricorso dilatorio, o con scarse possibilità di successo, a maggior ragione se già soccombente in primo grado o in appello. Il condono di sanzioni e interessi potrebbe in tal caso risolversi in un mancato introito rispetto a quanto l’erario avrebbe comunque incassato al termine del giudizio, oltre che in un “premio” proprio a chi appare – allo stato degli atti - maggiormente indiziato di evasione.

Dovrebbe invece essere più rara l’ipotesi inversa, di adesione alla definizione delle liti da parte di chi abbia presentato ricorso nella convinzione dell’illegittimità o infondatezza della pretesa, a maggior ragione se nelle more sia intervenuta una pronuncia giudiziale favorevole (ancorché provvisoria). In questi casi, infatti, è difficile che il contribuente modifichi la propria strategia processuale, avendo già deciso di non aderire alla pretesa erariale con le cospicue riduzioni delle sanzioni previste dagli ordinari istituti deflattivi (ravvedimento operoso, acquiescenza, e così via).

La nuova definizione delle liti invia inoltre un segnale che contrasta con un principio ordinamentale. Negli istituti deflattivi oggi a regime la riduzione delle sanzioni si attenua man mano che il procedimento avanza: il che appare in linea con le esigenze di immediatezza della riscossione ed economicità dell’azione amministrativa, nonché con gli obiettivi di contenimento del contenzioso tributario, la cui mole incide sulla stessa funzionalità della Corte di Cassazione.

Una definizione delle liti con integrale abbandono delle sanzioni contraddice invece la ragionevole logica operante a sistema, rovesciandola: chi aveva aderito alle richieste dell’Ufficio finanziario, o aveva transato in corso di causa, guarderà con rammarico alla nuova possibilità di definizione, data la sua maggiore convenienza (annullamento integrale, anziché mera riduzione, delle sanzioni; abbandono degli interessi di mora). E potrebbe “mantenere memoria” dell’accaduto, ove il problema di decidere se aderire od opporsi a una pretesa erariale dovesse riproporsi in futuro.

Il provvedimento in esame non riuscirà verosimilmente a deflazionare in modo significativo i processi attualmente pendenti. Ma quand’anche ci riuscisse parzialmente, lo stesso rischia di innescare effetti di lungo termine avversi, alimentando nuovo contenzioso. L’insegnamento che i contribuenti potrebbero trarne è che conviene non pagare e opporsi, in attesa del prossimo condono, che prima o poi arriverà.