La Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza della Grande Camera depositata lo scorso 7 novembre, ha compiuto un ulteriore passo in avanti in favore della costruzione di un quadro giuridico europeo sulle unioni di fatto delle coppie omosessuali, condannando la Grecia per violazione degli artt. 14 (Divieto di discriminazione) e 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. Il caso ha riguardato l'introduzione nel 2008 della legge n. 3719/2008 che ha riconosciuto effetti giuridici al "patto di vita comune", la cui applicazione è stata, però, limitata alle sole coppie eterosessuali. Al riguardo, il Governo ellenico ha difeso tale scelta con una duplice serie di argomentazione.

 

unioni civili

In primo luogo, ha sostenuto che il "patto di vita comune" attribuisce una serie di diritti e obblighi di natura patrimoniale, compresi alcuni aspetti successori, che possono essere parimenti conseguiti da coppie dello stesso sesso mediante l'ordinario strumento contrattuale, senza quindi nessuna concreta discriminazione.

In secondo luogo, il Governo ellenico ha evidenziato che la citata legge persegue diverse finalità (la protezione dei bambini nati fuori dal matrimonio, la protezione delle famiglie monoparentali, la volontà dei genitori di allevare ed educare la loro prole senza essere costretti a contrarre matrimonio), avvinte dallo scopo indiretto di rafforzare l'istituzione del matrimonio e della famiglia in senso tradizionale, come risulta espressamente dagli stessi lavori preparatori, e, dunque, ciò giustificherebbe l'esclusione delle coppie dello stesso sesso.

La Corte, richiamando espressamente il proprio precedente del 24 giugno 2010 (ricorso n. 30141/04, Schalk e Kopf contro Austria), in cui aveva affermato che "sarebbe artificiale mantenere l'opinione secondo la quale, a differenza delle coppie eterosessuali, quelle dello stesso sesso non possono godere del diritto alla vita familiare secondo l'articolo 8", ha, invece, riconosciuto che la legge in argomento ha principalmente dato riconoscimento giuridico ad una forma di unione diversa dal matrimonio, che di per sé costituisce un bene della vita, in quanto consente di ufficializzare una relazione tra due persone, la quale in ogni caso, sia che si tratti di coppia eterosessuale o monosessuale, implica i medesimi bisogni di sostegno e aiuto reciproco.

In definitiva, i giudici hanno ritenuto che la limitazione dell'istituto del "patto di vita comune" alle sole coppie eterosessuali non sia rispettosa del principio di proporzionalità, risultando eccessiva rispetto alle legittime finalità protettive menzionate sopra e produca una discriminazione nei confronti delle coppie dello stesso, a prescindere dalla circostanza che numerosi effetti giuridici del "patto di vita comune" possano essere comunque conseguiti per via contrattuale. La Corte, quindi, richiama la sua costante giurisprudenza in materia di discriminazioni relative all'orientamento sessuale, secondo il quale, come è noto, una differenza di trattamento è discriminatoria se, sulla base di «raisons particulièrement solides et convaincantes», non si persegue uno scopo legittimo o, come nel caso di specie, non vi è un rapporto ragionevole tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito.

In questo caso, appunto, riconosciuta la legittimità dello scopo protettivo della legge,si è ritenuto che il Governo ellenico non abbia dimostrato l'esistenza delle menzionate raisons che giustifichino l'esclusione dal "patto di vita comune" le coppie omosessuali, che, come quelle eterosessuali, sono capaci di avere relazioni stabili e hanno lo stesso "besoin de reconnaissance juridique et de protection de leur relation de couple". I giudici hanno anzi aggiunto che proprio il fatto che la legislazione greca riservi il matrimonio alle coppie tradizionali rafforza le ragioni per includere le coppie omosessuali nella nuova disciplina, che rimane l'unico strumento normativo per un loro riconoscimento giuridico.

Inoltre, la Corte ha fatto ampio ricorso ad elementi di diritto comparato per costatare, a completamento delle sue argomentazioni, la sproporzionalità delle legge ellenica. Vi è una tendenza generale al riconoscimento di altre forme giuridiche di relazione e la Grecia occupa una posizione isolata. Infatti, vi sono già nove Stati membri che hanno introdotto la possibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso (Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Islanda, Olanda, Norvegia, Portogallo e Svezia) e ben diciassette Stati membri che prevedono istituti di vita comune diversi dal matrimonio aperti alle coppie monosessuali (Germania, Andorra, Austria, Belgio, Spagna, Finlandia, Francia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Liechtenstein, Lussemburgo, Olanda, Repubblica Ceca, Regno Unito, Slovenia e Svizzera).

Soltanto, la Lituania e la Grecia sono tra gli Stati del Consiglio d'Europa che prevedono, oltre al matrimonio (riservato alle sole coppie eterosessuali), forme diverse di patto di vita comune o unione civile destinati unicamente alle coppie di sesso diverso.

Tra l'altro, la Corte ha avuto cura di precisare che il fatto che un Paese occupi nell'ambito di un'evoluzione graduale una posizione isolata non comporti necessariamente la violazione della Convenzione – la quale nel caso specifico è stata argomentata sulla mancata dimostrazione delle ragioni giustificative di un trattamento differenziale basato sull'orientamento sessuale – anche se, come detto, ha altresì sottolineato l'esistenza di una emergente tendenza favorevole al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuale che si riflette in diversi documenti del Consiglio d'Europa (Résolution 1728(2010) de l'Assemblée Parlementaire du Conseil de l'Europe e Recommandation du Comité des Ministres CM/Rec(2010))".

Tale sottolineatura ci sembra assai importante perché sembra indicare un possibile futuro sviluppo della giurisprudenza della Corte, soprattutto nei confronti di tutti gli Stati membri che non hanno nessuna disciplina al riguardo. Infatti, sembra singolare che sia stata stigmatizzata la posizione isolata della Grecia, senza che nulla sia stato detto del fatto che ancora oggi la maggioranza degli Stati membri del Consiglio d'Europa non preveda nessuna forma di riconoscimento giuridico e di protezione delle coppie omosessuali, realizzando di fatto una forma di discriminazione più intensa di quella sanzionata nel caso in esame.

D'altronde, sembra paradossale condannare uno Stato perché viola la Convenzione quando esclude le coppie omosessuali da forme di riconoscimento giuridico diverse dal matrimonio perché si nega un loro diritto familiare, e non uno che non preveda nessuna di queste forme. Infatti, le coppie monosessuali di questi Stati non possono avere nessun riconoscimento giuridico della loro esistenza, in quanto sembra essere ancora assai controversa la problematica della loro ammissione all'istituto matrimoniale. Pertanto, questo importante arresto non solo consolida il graduale processo europeo di garantire forme di tutela per le coppie dello stesso sesso attraverso il loro riconoscimento giuridico e sociale, ma sembra indicare un possibile punto di minimo equilibrio per le legislazioni europee: lasciare invariato il margine di apprezzamento statale sulla scelta di riservare, o meno, l'istituto matrimoniale alle coppie eterosessuali, in omaggio alla millenaria tradizione giuridica e religiosa europea, prevedendo eventualmente un diverso istituto familiare necessariamente aperto anche alle coppie dello stesso sesso.

Tale soluzione potrebbe rappresentare quel minimo comune denominatore capace di coniugare le istanze conservatrici e progressiste e, al contempo, garantire il godimento dei diritti familiari ad una più ampia platea di uomini e donne. Essa, inoltre, ben si "sposa" con la posizione assunta finora dalla Corte costituzionale italiana (sent. n. 138/2010), come ha recentemente ricordato il suo presidente pro tempore (Prof. Gallo) in occasione del consueto incontro con la stampa di inizio anno: "In tale pronuncia la Corte ha escluso l'illegittimità costituzionale delle norme che limitano l'applicazione dell'istituto matrimoniale alle unioni tra uomo e donna, ma nel contempo ha affermato che due persone dello stesso sesso hanno comunque il diritto fondamentale di ottenere il riconoscimento giuridico, con i connessi diritti e doveri, della loro stabile unione. Ha perciò affidato al Parlamento la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni".

Va, però, conclusivamente osservato che questo affidamento non può essere temporalmente illimitato, pena la permanente compressione del diritto fondamentale ad una vita familiare giuridicamente riconosciuta delle coppie dello stesso sesso, con la logica conseguenza che, in caso di perdurante omissione legislativa, il Giudice costituzionale potrebbe essere costretto ad imporre l'estensione alle coppie omosessuali dell'unico istituto familiare esistente nell'ordinamento; in altri termini, il Legislatore può continuare a riservare l'istituto matrimoniale alle coppie di sesso diverso senza violare la Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo nella sola e tassativa condizione di prevedere diverse forme di unione giuridica che possano comunque soddisfare il diritto fondamentale alla vita familiare.